Faccia a faccia

Mio nonno, Fermi ed Einstein

Luigi Contu
di Marco Ferrazzoli

Luigi Contu ricorda, in un saggio e in una mostra intitolati "I libri si sentono soli", una famiglia di giornalisti e scrittori impegnati nella divulgazione scientifica, che gli ha trasmesso in eredità una biblioteca e un insegnamento importanti. E racconta il giornalismo e l'Ansa, l'agenzia di cui è direttore, nella svolta verso il web e i social media. "Scienze umane e naturali devono sempre procedere in parallelo"

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Luigi Contu appartiene a una famiglia che gli ha trasmesso in eredità una biblioteca importante, raccolta per tre generazioni, e la passione per le parole, per il mestiere di raccontare, come scrittore e giornalista. Ne ha di recente ripercorso la storia in un saggio edito da La nave di Teseo e in una mostra, aperta fino al 7 agosto nella chiesa di Santarcangelo a Fano, intitolati “I libri si sentono soli”. Ha lavorato in varie testate, tra cui Repubblica, dove ha guidato gli Interni, ma soprattutto all'Ansa, la prima agenzia di stampa italiana, fondata nel 1945 sulle tracce della precedente Agenzia Stefani. All’Ansa siede dal 2009 sulla poltrona di direttore e ha avuto quindi modo di seguire lo sviluppo digitale della testata. “Sono stato chiamato anche per gestire la grande svolta verso il web e verso i social. All'epoca per quanto sia un paradosso l'agenzia aveva ancora una sorta di dimensione prevalentemente cartacea: il sito era sottodimensionato, foto e testi non erano abbinati con l’attenzione che ormai è richiesta. Oltre a questo, dal punto di vista dei contenuti, con la mia direzione ho dato particolare impulso ai settori scienza, tecnologia, salute”.

Un ambito in cui, per agganciarci al nostro Focus sul Sole, c'è da registrare la grande passione dei mass media per i temi meteo e clima, in questa estate ripresa alla grande dopo un periodo di relativo oscuramento dovuto a pandemia e guerra.

Il clima è un tema che si presta bene a un certo tipo di socializzazione, di conversazione e di lamentela, a volte connotate da un pizzico di superficialità. Come del resto anche la salute, la politica o lo sport. Ben diversa è ovviamente la questione dell'ambiente e della sostenibilità, che seguiamo attentamente e su cui abbiamo un canale molto seguito: si tratta però di un processo più complesso e rilevante del singolo fenomeno atmosferico alla Caronte.

L’informazione, però, viene vista spesso come un “carpe diem”. Quanto è difficile non fermarsi al fatto di cronaca interessante ma episodico e dare un’informazione che traguardi i tempi lunghi?

Noi crediamo molto in questa capacità, che connota da sempre la linea editoriale di Ansa. Nella scelta delle notizie da lanciare e pubblicare, e soprattutto in quella di come affrontarle, evitiamo certe soluzioni facili che alcuni siti online possono permettersi, punta soprattutto sulle immagini e su una presentazione della notizia accattivante, anche se non del tutto veritiera. Noi abbiamo un Dna, una tradizione, che è quella del rispetto delle regole, del buon giornalismo. Che non vuol dire essere bacchettoni né essere censori ma informare con la massima attenzione all’oggettività dei fatti: i giornalisti dell'Ansa non esprimono mai i loro orientamenti politici o le opinioni personali negli articoli che scrivono, né se ne lasciano condizionare. Se si rispettano queste regole si possono dare notizie di qualunque genere, anche quelle lifestyle e di costume.

La tendenza informativa prevalente sembra però essere la superficialità e il cedimento a qualunque compromesso, pur di ottenere qualche like e qualche follower in più.

Io invece voglio sperare che il futuro ci riservi una comunicazione migliore e, soprattutto, dobbiamo impegnarci al massimo perché sia così. Lo vedo anche dagli andamenti delle nostre notizie. In alcuni casi non accettare di dare la notizia nel modo più scandalistico o appealing può penalizzare, ce ne siamo accorti per esempio con il recente pestaggio davanti alla stazione di Milano: ci siamo rifiutati di pubblicare il video, pur dando la notizia nel modo più completo e attendibile possibile, poiché ritenevamo che vedere il sangue o i calci in faccia non aggiungesse nulla alla qualità del nostro lavoro. Sul lungo termine però ci accorgiamo che il riconoscimento di una testata o di una piattaforma portano consenso e seguito: i lettori comprendono a chi rivolgersi per ottenere un’informazione attendibile.  

Non rischia di essere, o sembrare, un discorso retrogrado, anziano, analogico?

No, personalmente e come direttore non ho alcuna pregiudiziale verso i nuovi media, come i social network, le storie o i reel, ma occorre una maggiore capacità di analisi. Dobbiamo recuperare l'amore per la riflessione, la conoscenza e l'approfondimento. È una considerazione che credo venga spontanea, leggendo il volume o guardando la mostra che ho intitolato “I libri si sentono soli. Storia e storie di una biblioteca di famiglia”. È un omaggio dedicato a mio padre e a mio nonno o, per meglio dire, alla loro attività di scrittori e giornalisti: da loro ho raccolto un’eredità materiale costituita da un’enorme biblioteca ed emeroteca, ma soprattutto un insegnamento morale. Nelle epoche loro fare i giornalisti, i poeti, gli artisti, i letterati significava proprio questo, studiare e impegnarsi, magari per assumere posizioni opposte a quelle dei propri maestri. Mi sento un microbo quando guardo all’esempio dei migliori esponenti delle generazioni che ci hanno preceduto e consegnato un bagaglio immenso: a noi il dovere di conservarlo e valorizzarlo.

La mostra racconta anche l'esperienza bellica di suo nonno, che combatté e raccontò la Prima guerra mondiale. A molti sarà subito venuta alla mente l'attuale guerra in Ucraina.

Il paragone è inevitabile. E quello che colpisce, nella letteratura, nella diaristica e nelle cronache della Grande guerra, leggendo di quanto mio nonno Rafaele e i suoi commilitoni hanno fatto, è un senso del dovere immenso, indiscusso. Mio nonno fisicamente era gracile, piccolo ma si gettava fisicamente nel combattimento senza esitare un attimo. Alla vigilia di un assalto, quando si rivolge per lettera allo “Stimatissimo babbo”, riceve come risposta: “Caro figlio, il dovere va adempiuto senza esitare”. Sono frasi che marcano una distanza enorme rispetto alla nostra epoca, quella generazione era permeata da un sentimento patriottico risorgimentale.

Copertina del volume I libri si sentono soli

Frasi ben diverse da quelle dei “Bollettini Cadorna” di cui si parla nel libro.

Una vicenda che richiama alla memoria le tante operazioni di propaganda e disinformazione che i detentori del potere hanno da sempre orchestrato: dai tempi di Pericle a oggi. Ricordiamo le fake news sull’arma di distruzione di massa usate per giustificare l’invasione dell’Iraq o quelle che accompagnano la guerra in Ucraina.

Nel libro e nella mostra c'è anche una parte relativa alla scienza.

Mio nonno, che si era diplomato all’Istituto tecnico prima di arruolarsi, si iscrisse al Politecnico di Milano per laurearsi in ingegneria. Aveva una forte passione per la scienza, era attratto soprattutto dall’astronomia e dalla fisica. Cominciò ad accumulare libri, manuali, dispense, quaderni sui quali ho trovato tracce dei suoi studi. Ed ebbe esperienze scientifiche rilevanti, tra l'altro ha potuto assistere alle lezioni tenute da Einstein a Bologna: conclusi gli studi al Politecnico, si era gettato a capofitto nello studio del pensiero dello scienziato tedesco. Fu anche dirigente del Ministero della Guerra, appassionato di poesia, intellettuale e amico di Ungaretti e Valery, ma soprattutto ebbe una lunga carriera di giornalista divulgatore. È stato nel 1935 il fondatore e primo direttore di “Sapere”, una rivista di grande modernità, la prima testata divulgativa scientifica italiana, con contenuti di eccellenza assoluta, basti pensare che Enrico Fermi ne fu collaboratore per molti anni, già nel primo numero compare un suo articolo sulle applicazioni diatermiche delle microonde. Ma “Sapere” fu anche una rivista di grande successo popolare. Del primo numero, che costava due lire, furono stampate centomila copie, tutte vendute.

Ricordiamo che “Sapere” oggi è diretta da Nicola Armaroli, ricercatore del Cnr. Il suo amore per scienza e letteratura nasce da qui?

Sì, mio nonno era particolarmente legato alla visione di una cultura che tenesse insieme umanesimo e scienze naturali. Tra l’altro divenne il direttore di “Scienze e vita”, una rivista francese che un editore volle trasferire in Italia. Morì dopo 5 anni e la direzione fu raccolta da mio padre Ignazio, che già vi collaborava. Mio padre ha poi diretto “Telema”, rivista che si è occupata in modo pionieristico di argomenti come la pervasività del web e il rapporto tra web e democrazia. Nel primo numero firmavano personaggi come Roberto Vacca, Stefano Rodotà, Vittorio Frosini e Nicholas Negroponte, il direttore del Media Lab al Mit di Boston. Questa passione per il dialogo tra i due aspetti della cultura mi è arrivata molto dalla mia famiglia.

Con la cui biblioteca, però, l’incontro è stato abbastanza casuale. C’è voluta la pandemia?

Una delle esperienze che mi hanno colpito di più durante la pandemia è stato proprio aprire una cassapanca piena di copie della rivista “Sapere” e di altro materiale che non avevo mai neppure sfogliato, scoprendo questo tesoro culturale. Mio padre in passato mi aveva parlato spesso della biblioteca e dei progetti che aveva in testa. In casa i libri erano ovunque, metri e metri di scaffali, mensole, ripiani, scalette. Mi diceva: “Luigi, ricordati che senza la lettura la vita di una persona è destinata a restare povera”. E concludeva con una frase che mi è sempre rimasta dentro e che, da giovane, mi suonava stravagante: “I libri si sentono soli, proprio come noi”. Ne era così convinto che spostava spesso i libri, quasi temesse che si sentissero trascurati. A volte, credo proprio a causa di queste teorie paterne, mi scopro a immaginare gli stati d’animo dei libri: se hanno una vita propria, mi dico, allora avranno anche dei loro pensieri. Ma non ne ho mai parlato con nessuno, nemmeno con mio padre, temendo di essere scambiato per un mezzo matto.

Contano di più libri o la lettura, per tornare ai nostri tempi digitali?

Io dico sempre che la differenza tra leggere un libro su carta o in video è quella che corre, ascoltando della musica di qualità, tra sentirla in una sala da concreto oppure con le cuffiette. Sono due ascolti diversi, ognuno offre dei pregi, ma la lettura su carta consente una riflessione imperdibile. Quindi direi che la cosa migliore è abbinare entrambe le forme.

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