Saggi

Le storie siamo noi

copertina libro, La scienza dello storytelling
di Gaetano Massimo Macrì

Will Storr, autore del volume "La scienza dello storytelling", ci guida nei meandri delle connessioni neurali, là dove nascono i bisogni di raccontare, le narrative e le domande alle quali esse danno risposta. Per concludere che il principale narratore è il nostro cervello

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Se la natura del cervello è tenere sotto controllo ogni avvenimento in cui ci imbattiamo, lo scopo di un racconto è, invece, quello di metterlo in difficoltà, destando la sua attenzione. È in questa dinamica che si snoda il libro di Will Storr “La scienza dello storytelling”, edito da Codice edizioni.

Quel chilo e trecento grammi di ammasso gelatinoso, che potrebbe stare nel palmo di una mano, vive in un continua allerta e, fintanto che il rumore e il movimento in cui è immerso sono riconoscibili e noti, permane in uno stato di calma. Picchi neurali – lo dice la neuroscienza – si registrano quando si verifica l'inaspettato. Come un boato che esplode o una voce che ci chiama, all'improvviso, interrompendo la consueta routine di quei rumori e di quei movimenti in cui viviamo normalmente e che rientrano nella nostra comprensione. I narratori più esperti conoscono questi meccanismi. Le storie più efficaci, infatti, prendono spesso il via da un evento inatteso. Quando la mente non sa e non può controllare quel che accade. Non sempre è così: “A volte, però, quell'imprevisto conta. Ci costringe all'azione. Ed è qui che inizia la storia”.

Chi si occupa di storytelling sa che per andare avanti, mantenendo alta l'attenzione dell'ascoltatore/lettore, servono momenti di cambiamento inaspettato dei personaggi. Non siamo di fronte all'ennesimo testo per imparare a scrivere o a raccontare. Come sottolineato nel titolo, si parla degli aspetti scientifici di quello che il cervello ci fa vedere, del come e del perché. Ad esempio: “Spesso nei sogni precipitiamo da un edificio o inciampiamo per le scale. Una storia che il nostro cervello si inventa per giustificare uno 'spasmo mioclonico' ovvero una fastidiosa e improvvisa contrazione muscolare”. Se si vuol comprendere come mai in una storia, tendiamo a chiederci: “Perché è successo? E adesso che cosa potrà mai accadere?”, questo è il libro giusto da leggere.

Interessante, poi, la distinzione tra le storie di massa e quelle di letteratura alta o di nicchia. Nelle prime il cambiamento è rapido, chiaro, mentre negli altri casi al lettore è richiesto uno sforzo maggiore per la comprensione. E differenti sono le modalità di pensiero, quindi di racconto, anche tra Oriente e Occidente. La cultura occidentale è permeata dall'individualismo. Secondo gli psicologi esso potrebbe essere derivato dalla conformazione fisica del territorio dell'antica Grecia, che di quella cultura è la culla. Le zone costiere e collinari, rocciose per lo più, ostacolavano l'agricoltura, che avrebbe potuto spingere i Greci a comportamenti collettivi. Diversamente, ognuno doveva industriarsi per sopravvivere, facendo affidamento sulle proprie forze. Le storie che ne sono derivate, risentono di questo schema. Eroi che partono per un viaggio, fino al raggiungimento dello scopo, con un finale certo.

Le storie orientali, al contrario, non prevedono necessariamente un finale. Nell'antica Cina, il paesaggio ondulato e fertile favoriva la nascita di comportamenti collettivi. Le storie orientali non hanno protagonisti ego-riferiti, che si addossano responsabilità e vanno incontro al destino per ribellarsi.

titolo: La scienza dello storytelling
categoria: Saggi
autore/i: Storr Will
editore: Codice edizioni
pagine: 247
prezzo: € 24.00

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