Saggi

Dal cinema al cervello

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di Alessia Bulla

Usare le neuroscienze per spiegare perché il cinema provoca nello spettatore forte coinvolgimento. È quanto hanno fatto il neuroscienziato Vittorio Gallese e il docente di cinema Michele Guerra, che riportano i risultati delle loro ricerche nel volume 'Lo schermo empatico', edito da Cortina

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'Lo schermo empatico', edito da Cortina, frutto di ricerche durate cinque anni su cinema e neuroscienze, che hanno visto gli autori Vittorio Gallese, fisiologo e neuroscienziato e Michele Guerra, docente di Storia del cinema americano e teorie del cinema, entrambi dell'Università di Parma, interrogarsi sul perché i film ci appaiano così reali. “Fino a che punto e in che misura la percepita irrealtà della finzione cinematografica si discosta dalle modalità con cui ci rapportiamo alla realtà quotidiana in cui siamo immersi?”, si chiedono gli autori, proponendo un'ipotesi su come le neuroscienze possano aiutarci a comprendere come il cinema riesca a generare un tale coinvolgimento empatico e corporeo.

L'ipotesi, sostenuta da esperimenti con elettroencefalografia ad alta densità, si fonda sulla teoria della simulazione incarnata (embodied simulation), basata sull'individuazione dei neuroni specchio, grazie alla quale “si può instaurare una relazione di tipo diretto e non-linguistico con lo spazio, gli oggetti, le azioni, le emozioni e le sensazioni altrui, per il tramite dell'attivazione di rappresentazioni sensori-motorie e viscero-motorie nel cervello dello spettatore”. Il cinema fa proprio questo, sfruttando dotazioni innate del nostro cervello attraverso tecniche di narrazione, movimenti di macchina e montaggio.

Nel volume si parte da capolavori quali 'Notorius', 'Arancia Meccanica', 'Toy Story', 'Il silenzio degli innocenti', per spiegare la stretta correlazione tra tecniche cinematografiche e percezioni dello spettatore. Un esempio è tratto dal film 'Shining' durante l'inquietante scena in cui Danny, il protagonista, è sul triciclo e pedala nei corridoi dell'Overlook Hotel. La scena, girata con la steadicam da Garret Brown, fa sì che lo spettatore si immedesimi con il protagonista in movimento tramite l'attivazione dei neuroni specchio. La risonanza motoria intensifica infatti l'immedesimazione molto più che per scene girate con una camera dolly montata su carrello o con lo zoom. Indimenticabile poi la scena dell'attacco dello squalo nell'omonimo film di Steven Spielberg, girata con la ripresa soggettiva. La macchina da presa, che assume un significato corporeo, compie la magia di farci condividere lo spazio del mostro.

Altri esempi sono la 'teoria dei 180°', che rispettata o violata secondo precise scelte dei registi, determina l'orientamento o il disorientamento dello spettatore nella storia. O ancora l'engagement tattile provocato dai personaggi di 'Toy Story', che offre “reazioni aptiche e addirittura erotiche”. Le ricerche sul synthespian, l'attore virtuale creato al computer attraverso i miglioramenti delle tecnologie motion capture, basate sul trasferimento digitale di gesti ed espressioni degli attori su esseri virtuali, che hanno dato vita a Gollum del 'Signore degli anelli' e allo scimmione King Kong.

Il lavoro di Gallese e Guerra si chiude con i nuovi orizzonti del cinema: le tecnologie sempre più raffinate, consentite dalle action cams, dalle GoPro, dai droni, dalle telecamere Hd, ma anche dagli smartphone, con cui grandi registi hanno girato film, fanno percepire punti di vista mai avuti aprendo nuove prospettive.

 

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