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Un poema tra fede, salute ed età

copertina cavoni
di Marco Ferrazzoli

L'ultima opera poetica di Cesare Cavoni “La morte la pioggia e Miles Davis”, giornalista dell’emittente TV2000 e attivo come saggista in tema di bioetica. Che entra in campo come estrema vicinanza al male, al dolore, alla sofferenza e anche proprio alla malattia fisica: “Ci siamo riconosciuti sull’orlo del precipizio / di un ospedale ben arredato / le guerre portate a termine dalle infermiere / col sottofondo del blues del cicalino / attaccato al letto”

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L'aspetto che colpisce per primo e maggiormente, dell'ultima opera poetica di Cesare Cavoni “La morte la pioggia e Miles Davis”, è la struttura in forma di poema. La poesia è sempre una scelta velleitaria o coraggiosa ma con Cavoni siamo sicuramente nel secondo caso, poiché la qualità della scrittura è stata già collaudata dalle due precedenti uscite, “Accordare nuvole” e “Censimento degli invisibili”. In questa nuova opera la capacità formale è addirittura migliorata grazie a un’architettura precisa, che aiuta narrativa e scorrevolezza della lettura. Dopo il prologo si succedono 60 poesie, ordinate per numeri romani e concluse da un epilogo nel quale, con semplicità e chiarezza, si riassume il senso: non soltanto di questo libro ma dell’azione poetica in generale. “Bisogna fare molti sacrifici / per allevare piccole poesie / da far entrare al ballo delle debuttanti. // Ed ora che questa poesia è terminata / taglio il piccolo cordone / che ancora ci lega”.

Ma ordinato, nello svolgersi delle pagine, appare soprattutto il tema, anche rispetto alle precedenti raccolte dove poteva talvolta non apparire del tutto convincente la scelta della “poesia civile”. Professionalmente, l'autore è un giornalista dell’emittente TV2000 della Conferenza episcopale italiana, animato da una sensibilità cattolica che senz'altro l’aiuta ad affinare quanto scrive. Dato non trascurabile, è anche attivo come saggista in tema di bioetica, tra i suoi volumi pubblicati in questo settore “Eutanasia e medicina” e “La vera storia della pillola abortiva Ru486”. Sono temi, quelli della fede e della salute, che nei versi del libro compaiono in modo esplicito e che, ancor più, fanno da trama sottostante alla riflessione mnemonica e all’introspezione che costituiscono la linea rossa lungo la quale si dipanano le 62 poesie. Lo scopo evidente della raccolta è guardarsi dentro e raccontarsi, senza cadere nell'egocentrismo ma cercando anzi di identificare i momenti sentimentali che più accomunano gli esseri umani.

Per fare soltanto un esempio: “e più tardi dallo smartphone arriva / il messaggio della morte di un ottavo sigillo / una bambina di quattro anni / fulminata dal cancro”. La bioetica entra in campo, cioè, come estrema vicinanza al tema del male, del dolore, della sofferenza e anche proprio della malattia fisica: “Ci siamo riconosciuti sull’orlo del precipizio / di un ospedale ben arredato / le guerre portate a termine dalle infermiere / col sottofondo del blues del cicalino / attaccato al letto. // Dopo un’accurata esistenza spesa quasi bene / siamo qui, nella sala d’attesa di un ripostiglio, / perché mancano i letti, mister Parkinson alle calcagna / e l’aurora che coglie gli ammalati in fila all’RX”.

Un senso e una sensibilità che fanno perno evidente sull'avanzare dell'età, sulla maturità, sul superamento dei 60 anni, quella soglia che in passato si reputava aprisse senza scampo la discesa finale dell'anzianità. In questa fase anagrafica è impossibile non tornare al pensiero di coloro che ci hanno preceduti e ai quali siamo stati legati, in particolare ai genitori, ai quali la vita impone di rendere specularmente la cura prestata quando eravamo bambini: “il tempo senza una copertura per la pioggia / il bar all’angolo senza me e te / che guardiamo Corso e Jair / passare la palla a me e a te / che giochiamo a biliardino / io e te e basta / senza particolari inclinazioni oltre ad essere padre e figlio. // La vita è questa. Il vento che porta via / attraverso generazioni, più di una infanzia, / il mare che si affaccia su un’altra riva / quella che ora ci avvicina nel tempo di due vecchiaie. // È il 1967 e io ho cinque anni. / Abbiamo 40 anni in 2 e io sono già vecchio / per la paura di morire / cadendo dalla bicicletta o morso da una vipera / o in preda agli spasmi della febbre”.

inevitabilmente, non tutti i versi mantengono la medesima qualità, si registrano sporadiche flessioni verso il già sentito, ma è davvero difficile non riconoscersi, talvolta specchiarsi letteralmente, nel rigore formale di molte espressioni, specialmente quelle scarnite dalla semplicità e dall’ironia: “Cominciamo dalla fine della storia: / mio padre è morto e io scrivo poesie / da quando ero un bambino”; “Parlando ad alta voce con mia madre / morta ormai da dieci anni / le ho detto con decisione / che non intendo diventare santo. // La sua risposta è arrivata / entrando con una luce obliqua / dalle persiane socchiuse: / non c’è nessun pericolo, figlio mio, / non darti pena”.

 

Titolo: La morte la pioggia e Miles Davis
Categoria: Narrativa
Autore: Cesare Davide Cavoni
Editore: Fuori linea
Pagine: 88
Prezzo: 13,00

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