Saggi

Storia della scienza: una lezione di umiltà

di Marco Ferrazzoli

Paola Govoni sostiene la necessità che chi opera nella ricerca e nella sua comunicazione si faccia comprendere dai pubblici, sulla scorta di scienziati-divulgatori come Gould e Feynman, che invitavano a evitare il fanatismo della conoscenza e della verità. La “big science” è complicata, è “un sapere speciale”, è “cumulativa e progressiva”, seguirla non è agevole

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“La scienza è (anche) la sua storia”, sostiene Paola Govoni nel saggio 'Che cos'è la storia della scienza', che compendia una notevole quantità di informazioni e considerazioni utilissime a chi opera nella ricerca e nella sua comunicazione, ma anche ai pubblici che spesso faticano a comprendere un mondo tutt'altro che intuitivo. Intanto, gli addetti hanno modo di confrontarsi con opportune dichiarazioni di prudenza di alcuni scienziati-divulgatori: Stephen J. Gould, “Ritengo che una realtà di fatti esista e che la scienza, sebbene in maniera spesso ottusa e errata, possa imparare da essa”, e il premio Nobel Richard P. Feynman con le espressioni “giusto temporaneamente” e “si potrebbe definire la scienza come la credenza nell'ignoranza degli esperti”.

Meglio insomma evitare il fanatismo della conoscenza e della verità assolute, gli “atteggiamenti di sufficienza o indifferenza”, specie in un mondo che dispone di quantità di dati straordinarie, più dell'80% della popolazione europea e del 55% di quella mondiale accede a Internet, poiché società, valori e conoscenza mutano assieme, come osservava Robert K. Merton che non a caso aveva un dottorato in 'Science, technology and society'. L'evolversi novecentesco verso la “grande scienza” rende tutto enormemente più complicato da gestire e capire: tra il 1980 e il 2012 la produzione scientifica mondiale è raddoppiata ogni nove anni circa. Fattore d'impatto e Science Citation Index aiutano a “misurare” l'attività degli scienziati, come fa l'Institute for Scientific Information (Isi), ma per il comune mortale è difficile orientarsi in questo sistema, che ha comunque prodotto il cosiddetto “publish or perish”, la tendenza a produrre paper solo per reggere il passo e fare carriera.

Dobbiamo renderci conto, osserva Govoni, che oggi un “giovane può laurearsi in Ingegneria senza avere mai sentito parlare di James D. Watson e Francis Crick”, oppure “in Lettere senza sapere nulla del Progetto Manhattan”. E che la scienza è “un sapere speciale”, con “un metodo orientato” per cui, citando Samuel Taylor Coleridge, “è poesia quel tipo di componimento che si contrappone a un'opera scientifica per avere come obiettivo” il piacere e non la verità. Un sapere dunque duro e rigoroso, ampio e variegato. E poi “l'attività scientifica - scriveva George Sarton - è l'unica ovviamente e indubitabilmente cumulativa e progressiva”, per cui seguirne il corso non è sempre agevole.

Specie nel nostro Paese. I primi giornali scientifici e le prime accademie scientifiche – l'Accademia dei Lincei, la Royal Society, l'Académie des Sciences – nacquero già nel Seicento, ma da noi il primo Congresso degli scienziati è del 1839 e la Società italiana per il progresso delle scienze diretta da Vito Volterra è del 1907; i “dottori di ricerca” (PhD) nascono nel 1871 ma in Italia il titolo arriva negli anni Ottanta del secolo scorso; Nature e Science escono tra 1869 e 1883 ma le prime cattedre di Storia della scienza italiane arrivano nel 1979. Non meravigliamoci troppo se in Italia dopo l'Unità c'era chi riteneva il chinino usato contro la malaria un veleno, una posizione che ricorda molto quella odierna verso le vaccinazioni.

E comunque la storia della scienza è lunga e complicata dappertutto. Nel 1799 Alessandro Volta costruì la prima pila che però non ebbe alcuna applicazione per decenni. Il Progetto genoma umano è stato oggetto di una gara serrata tra competitor pubblici e privati, ma alcuni scienziati hanno obiettato che i vantaggi scientifici del progetto non fossero chiari né proporzionati agli investimenti. Il Progetto Manhattan, forse il “più noto esempio di big science” che “si concluse con la costruzione delle prime bombe atomiche”, è solo uno dei “molti e importanti” casi di convergenza tra scienza e guerra. E poi si pensi a Ogm e all'“editing genomico”, all'“eugenetica” e al dottor Stranamore del regista americano Stanley Kubrick, alla fantascienza di 'Odissea nello spazio' dello stesso Kubrick e 'Blade Runner' di Ridley Scott: assieme a molti pregiudizi ci sono anche alcune ragioni per sottoporre la scienza “a una riflessione critica e storica come ogni altra attività umana”.

Gli scienziati non sono insomma soltanto eroi o santi “come li dipingeva Auguste Comte” così come non sono “nemmeno individui senza scrupoli”. La rivoluzione scientifica di Newton, Copernico, Bacone, Galileo, Keplero, Cartesio, Kant e dell'Illuminismo ci è più o meno nota e comprensibile, ma non attesta solo il trionfo della ragione. Nel Settecento-Ottocento le élite erano affascinate da macchine a vapore, telegrafo, cure mediche, elettricità, ma gli strati sociali più poveri animavano verso tali innovazioni forti e comprensibili proteste, come quelle degli operai che ritenevano le macchine “causa di disoccupazione e povertà”. Se è vera la “tesi di Merton” che collega scienza moderna ed etica protestante, lo è anche quella di Michel Foucault che collega la prima al potere politico e al dominio economico.

 

titolo: Che cos’è la storia della scienza
categoria: Saggi
autore/i: Govoni Paola 
editore: Carocci editore
pagine: 140
prezzo: € 12.00