Saggi

Contromano per le vie del vino

cover libro Dei miei vini estremi
di Gaetano Massimo Macrì

Si può conoscere l'Italia attraverso questo prodotto? Sì, a patto di essere un vero intenditore, di apprezzarlo e conoscerlo nel suo contesto, lontano dalle mode passeggere, fautrici di vere e proprie "rovine enologiche". È la provocatoria tesi di Camillo Langone

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“L'unico vino naturale è l'aceto”. Si può partire da qui per comprendere la poetica di 'Dei miei vini estremi' (Marsilio), libro schietto e irriverente del giornalista Camillo Langone. Se si fanno "evaporare" – è il caso di dirlo – i wine instagrammer, gli osannati vini bio e il linguaggio fin troppo iconografico dei moderni esperti del nettare di Bacco, ciò che rimane, nel tino ripulito da quelle che per l'autore sono solo inutili “sporcature”, è il racconto di un conoscitore autentico. Contro il palato piatto, le mode, le fiere di settore dai nomi forzatamente anglofoni, Langone si inginocchia alla vite con sentimento quasi religioso, guidandoci in un viaggio dal sapore politicamente scorretto. E lo fa inserendosi nel solco di una tradizione ormai scomparsa, quella dei vari Soldati e Monelli, scrittori prestati al racconto enologico e del paesaggio italiano, e rivolgendosi al lettore che preferisce rimanere distante dai falsi miti e dagli hashtag dettati dalle tendenze globalizzanti.

L'Italia è certamente una delle patrie del vino, ma questo non ci esime dal commettere banali errori di valutazione e trattazione. I tempi non lasciano spazio ai sentimenti e a quel modo di vivere il prodotto e il territorio (uva e terroir in senso lato, se volessimo filosofeggiare) che invece l'autore invita a riscoprire. Via il superfluo, via le etichette che giacciono in cantina solo perché di moda. Il consiglio è riscoprire bottiglie autentiche, che sappiano raccontare una storia di identità, cosa impossibile se si punta solo a non dispiacere ai palati del mercato. L'intento è aprire gli occhi al lettore-bevitore medio, incanalato nel mainstream generalista, che si esalta con 75 ml. di rosso barricato. Per questo il titolo del volume si pone all'opposto del proverbio per cui “in medio stat virtus”: meglio i vini “estremi”, ricchi di personalità.

Da un lato i bevitori seriali finto-esperti, collezionisti di nomi blasonati; dall'altro quelli attenti e raffinati, al limite colti ed edonisti, come ama definirsi Langone, che ricercano un quid riservato a pochi. All'optimus potor (ottimo bevitore), tanto per rimanere nel colto. L'autore con la sua penna arguta dà voce a un grido liberatorio, corredato da un elenco prezioso di etichette, vitigni e famiglie produttrici paesane. Sferza alcuni luoghi comuni, “questa cosa del vino vecchio non l'ho mai capita”, irride le descrizioni olfattive troppo fantasiose: “Bisogna essere parecchio artificiali per cercare in un bicchiere sensazioni quali cera, catrame, cuoio”. L'invito è sentirsi liberi, non lasciarsi imporre visioni stereotipate.

In conclusione, il volume lascia al palato una sensazione che potremmo definire come il nome di un buon barolo, “Sperss”, che in dialetto piemontese significa nostalgia. Quella per un mondo poco conosciuto, calpestato dall'ignoranza, ma coltivato da chi, come Langone, insegue il sogno della bottiglia segreta, che si concede solo a chi dimostra di meritarsela.

titolo: Dei miei vini estremi
categoria: Saggi
autore/i: Longone Camillo
editore: Marsilio
pagine: 167
prezzo: € 15.00

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