Specialistica: Equilibrio

Approdare in un orto sicuro

di Sandra Fiore

Amati fin dall'antichità da babilonesi, egiziani, romani, gli orti assumono funzioni diverse nel corso dei secoli: da fonte di sostentamento per il contadino a Hortus conclusus monastico. È quanto emerge da un saggio a cura di Alessandra Cioppi e Maria Elena Seu, rispettivamente ricercatrice e assegnista dell'Istituto di storia dell'Europa mediterranea

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Amati fin dall'antichità da babilonesi, egiziani, romani, gli orti assumono funzioni diverse nel corso dei secoli: da quello signorile inserito nel castello a luogo di sostentamento per il contadino, a hortus conclusus, chiuso nel chiostro di edifici monastici, per arrivare al contemporaneo orto urbano. In particolare, questi spazi, nati entro le grandi città e sempre più diffusi, sono diventati un mezzo per favorire l'integrazione sociale e il benessere psicofisico di ogni fascia di età. Il volume “L'orto alimento dell'anima e del corpo” (Pacini editore) illustra i vari spetti del prendersi cura di questi fazzoletti di terra.

Tra le recenti tendenze sociali e culturali, fa sempre più proseliti la pratica di coltivare l'orto, che conquista varie fasce di età della popolazione. Dopo il lockdown da Covid-19, secondo Coldiretti, sono 1,2 milioni gli italiani che coltivano per passione, per avere prodotti  “colti e mangiati” e stare all'aria aperta. Mentre l'Istat registra, a proposito di ambiente in città, l'espansione degli orti urbani (+4%), che arrivano a sommare quasi 2 milioni di metri quadri di superficie in 77 capoluoghi (Orto urbano: il verde condiviso trova sempre più spazio in città, https://wisesociety.it/piaceri-e-societa/orti-urbani-cittadini). Coltivare un piccolo appezzamento di terreno è anche un modo per socializzare e condividere momenti di relax e per godere dei propri successi, frutto dell'impegno nello zappare con cura, seguendo le stagioni in città.

Il libro raccoglie i risultati di un lavoro di ricerca nato nell'ambito del progetto Migrazioni & Mediterraneo in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole. Infatti, come spiega Cioppi nell'introduzione, “La coltura e la cultura dell'orto rappresentano un esempio di efficace integrazione e un'opportunità nel sistema di accoglienza dei migranti sul territorio nazionale”. Il volume si articola in testi molteplici, che analizzano la tematica sotto vari punti di vista. Alla storia dell'orto dall'antichità al medioevo è dedicato un interessante capitolo, che si apre evidenziando il risalto dato a questo piccolo fazzoletto di terra nelle poesie di Pascoli, Carducci, Leopardi, per i richiami simbolici e intimistici che esso ispira.

Roma era disseminata da orti giardino, come quello di Mecenate sull'Esquilino, quelli dei Domizii sulla riva del Tevere a Campo Marzio, di Agrippa in Campo Marzio verso il Pantheon. Nel Medioevo troviamo ampiamente documentate varie tipologie di orto “domesticus”, vicino alla casa del contadino; “dominicus”, proprietà signorile; “deliciarum”, afferente a castelli. Agli orti monastici però si deve un forte impulso alla ripresa dell'economia e del commercio, mentre lo spazio racchiuso nel chiostro, l'“hortus conclusus”, era avvolto da un'atmosfera serena che induceva alla preghiera; sotto la cura dei monaci vi crescevano ortaggi, erbe medicinali e fiori. “In tal caso l'orto diventa metafora di una tensione perfettiva dell'umanità che attraverso l'amore le consente di avere accesso ai frutti della felicità e del benessere concessi da Dio”, aggiunge Alessandra Cioppi.

Maria Elena Seu, presenta due casi di studio contemporanei sugli orti urbani di Bologna e Sassari: Il primo nato dal progetto del 2008  “Coltiviamo-ci assieme”, teso a coinvolgere nella vita sociale le donne immigrate nel quartiere San Donato. “Queste donne attraverso la coltura delle piante provenienti dai paesi di origine hanno avuto la possibilità di riprendere simbolicamente il contatto con le loro radici”. A Sassari invece il Cnr-Isem, in collaborazione con il Mipaaf, ha dato vita a un corso di formazione sul sistema degli orti “come trasmissione di esperienze e saperi tra le diverse culture presenti nel territorio cittadino”. Il nome della città sarda, tra l'altro, come ricorda nel suo contributo Grazia Maria Scarpa dell'Università di Sassari, significa “immensa rete di orti”, favorita anche da molte sorgenti. È ormai acclarato che prendersi cura di un terreno è terapeutico, illustrano Giorgio Gianquinto, Nicola Michelon e Giovanni Bazzocchi nel loro intervento, infatti l'ortoterapia è riconosciuta per avere un ampio ventaglio di benefici; può inoltre rappresentare una delle forme più economiche all'avanzare dei problemi legati all'invecchiamento, all'isolamento e alla microcriminalità.

 

 

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