Faccia a faccia

Caso o caos? Causa

Marco Malvaldi
di Alessia Cosseddu

Chimico, scrittore, giallista e divulgatore scientifico, Marco Malvaldi torna in libreria con “La direzione del pensiero" (Raffaello Cortina Editore). Nell'intervista ci spiega perché è importante parlare di "causalità" e sottolinea quanto capire le cause ci permetta di intervenire sulle conseguenze. Con lui parliamo anche di quali risposte la scienza può dare alle reazioni emotive che quest'emergenza sanitaria sta suscitando. Con una piccola incursione nel mondo dei vecchietti del BarLume, protagonisti della famosa serie di gialli di cui Malvaldi è autore: come avrebbero reagito alla pandemia?

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Marco Malvaldi nasce a Pisa nel 1974, si laurea in Chimica all'Università di Pisa e contemporaneamente studia al conservatorio.  Per un periodo è cantante lirico, ma è come scrittore che raggiunge il successo. Autore per Sellerio della serie di gialli che ha reso famosi i vecchietti di BarLume, ricordiamo tra tutti la trilogia La briscola in cinque” (2007), “Il gioco delle tre carte” (2008) e “Il re dei giochi” (2010). Nel 2018 esce per Giunti “La misura dell'uomo”, che mette insieme scienza, lingua, storia e crimine, immaginando Leonardo Da Vinci alle prese con circostanze misteriose. Ha affermato: “Indagini poliziesche e indagini scientifiche hanno in comune la necessità di convincere gli altri”. È tornato in libreria di recente con “La direzione del pensiero” (Raffaello Cortina editore), in cui analizza la causalità attraverso la matematica e la filosofia. 

Come scrive nel suo ultimo libro, la domanda preferita dai bambini - perché? - è  lo strumento più spontaneo per capire il mondo. Quindi i bambini sono i primi veri scienziati? 

In parte sì. I bambini sono ignoranti consapevoli: non sanno ma sanno di non sapere. Sono piccoli Socrate e soprattutto hanno un obiettivo ben preciso: prevedere il futuro, capire quali conseguenze avrà un dato comportamento. Capire quando sono al sicuro. Cosa che è anche lo scopo della fisica classica: attraverso il presente (le condizioni al contorno) e le cause (le forze), prevedere le conseguenze. 

Perché è importante parlare di causalità?

Perché, ahimè, solo nella fisica classica possiamo prevedere il futuro conoscendo perfettamente quali variabili sono in gioco, e che valori hanno. Capire le cause ci permette di intervenire sulle conseguenze. E nemmeno sempre, anzi: basti pensare alle previsioni del tempo. Nella maggior parte dei casi, le variabili in gioco e il loro valore ci sono preclusi, e dobbiamo ritagliare e organizzare il mondo in categorie grossolane: le specie animali, i comportamenti umani, gli organi interni del nostro corpo. È un'approssimazione necessaria, ma così facendo si perde la relazione simmetrica tipica della fisica: l'uguaglianza. Dire che questo è uguale a quello, nelle scienze che studiano il mondo vivente, è spesso un'approssimazione.

Insieme a Roberto Vacca, scrive nel 2012 “La pillola del giorno prima. Vaccini, epidemie, catastrofi, paure e verità” (Transeuropa) e, nel 2020, “La misura del virus. Dalla peste al Covid-19: antiche pandemie e difese nuove” (Mondadori). Come dare risposte scientifiche alle paure e alle reazioni emotive che questa pandemia suscita? 

Prima di tutto facendo capire alle persone che la scienza non dà certezze, è un metodo, un approccio alla realtà. Non è perfetto, ma è il più efficace che abbiamo. Probabilmente alcuni virologi a volte parlano a sproposito, ma se rispondesse uno sciamano sarebbe peggio. E poi usando ogni mezzo a nostra disposizione, dai cartoni animati ai podcast, per spiegare ciò di cui siamo assolutamente sicuri: come il funzionamento e l'utilità della mascherina. Quindi, distinguendo la scienza dagli scienziati, che sono uomini, fallibili e soggetti agli errori, esattamente come i politici. Infine - e qui mi ci metto anche io - rifiutandosi di parlare laddove non siamo competenti. Io sono un chimico, sono esperto di modelli computazionali: posso parlare di epidemiologia, di diffusione delle malattie a livello teorico, perché ho studiato e utilizzato i modelli di uso comune e conosco le loro potenzialità e i loro difetti. Ma di virologia o di funzionamento del vaccino, no. E, se interpellato, ho il preciso dovere di tacere. Infine, imparando a fare domande: al negazionista o al catastrofista, che spesso non sono competenti in materia, non saltiamo alla gola come se fossero il nemico, chiediamogli semplicemente: "Mi spiega come funziona il vaccino?". Siamo scienziati, ricordiamoci di usare anche le neuroscienze, di non rifiutarci di capire come funziona il cervello, e non insultiamo chi la pensa in modo sbagliato. Se siamo certi di aver ragione, chiedere all'altro di spiegarci la nostra materia ha un effetto spesso dirompente. 

Di cosa avremo, o dovremmo avere, paura domani?

Bella domanda. Se lo sapessi non ne avrei paura. Credo che il fatto di essere sette miliardi di persone sarà sicuramente un elemento di timore. Personalmente, quello che mi spaventa di più è però la possibilità che la capacità omeostatica del nostro pianeta vacilli: il riscaldamento globale, per intenderci. 

Cosa pensa della letteratura distopica? Le piace, ne ha mai scritto o scriverà?

È un genere che trovo molto triste, a parte alcuni casi felici, penso a Joseph Heller, per esempio. Se mai scrivessi un romanzo distopico, credo che copierei pesantemente da lui... Per ora, però, non ho intenzione di cimentarmi in questo genere. 

La formazione scientifica quanto ha influenzato Marco Malvaldi giallista? 

Moltissimo. Scrivere gialli è come prendere un cubo di Rubik nuovo, scomporlo e poi proiettare al contrario le proprie mani, dando l'impressione di saperlo rifare. Il giallo è il genere letterario più facile da scrivere, basta avere metodo. Ma la mia disciplina, la chimica, mi ha dato enormi vantaggi in senso descrittivo. Il chimico, come diceva Primo Levi, usa i sensi in modo più esteso rispetto al non chimico, e il fatto che il più grande scrittore italiano del XX secolo fosse un chimico dà da pensare.

Qual è il suo rapporto con i social media, che in questa emergenza sanitaria sono entrati ancora più prepotentemente nelle nostre vite? 

Senza i social, Zoom, Facebook o altro, sopportare il 2020 sarebbe stato ancora più pesante. Questo va detto forte. Io uso i social, come molti credo, per lavorare e anche per prendere aperitivi virtuali. Ognuno di noi in questo momento ha un superpotere: può comunicare potenzialmente con un gran numero di persone senza svelare chi sia in realtà. E da grandi poteri, direbbe Spiderman, derivano grandi responsabilità. Così come dietro i grandi artisti spesso si nascondono persone infami, allo stesso modo ci dovremmo ricordare che non è possibile giudicare la bontà delle intenzioni di una persona da uno scritto o da un videomessaggio. Piano piano arriveremo a capirlo, ma ci vorrà del tempo. E dovremo abituarci all'idea che il modo in cui ci incontriamo su Internet non è casuale, ma tende a unire il simile con il simile, esaltando e moltiplicando le nostre capacità invece di metterle in dubbio. Credo che i millennials siano molto più scafati di noi e siano in grado di gestire meglio questo aspetto, noi ultraquarantenni abbiamo un rapporto tendenzialmente più ingenuo con la Rete.  

La  pandemia invade anche il BarLume con due nuovi episodi in cui, oltre all'uso delle mascherine, si vedono i quattro vecchietti alle prese con le video chiamate e una serie di gags esilaranti dominate dall'"Io ti vedo! Tu mi senti?". Ma come avrebbero reagito i vecchietti del BarLume a questa pandemia?

Malissimo. Prima gli hanno tolto le carte - pericoloso mezzo di contagio - e poi gli hanno tolto la socialità. Però poi avrebbero imparato in poco tempo a usare i social, e ci avrebbero ricordato che è meglio combattere con un nemico comune che combattere gli uni contro gli altri.  

Qual è il personaggio dei suoi romanzi a cui è più legato?

Senza dubbio Aldo, il vecchietto del BarLume che faceva il ristoratore: molto semplicemente, è come mi immagino che sarò io da vecchio.