Faccia a faccia

Grazia Di Michele: Sanremo, talent e sociale

Grazia Di Michele
di Rita Bugliosi

Cantautrice, ma anche musicoterapeuta, attrice, scrittrice, Grazie Di Michele si è cimentata in diverse attività sempre con grande impegno e convinzione, ottenendo buoni risultati in ogni ambito. E ancora tanti sono i suoi progetti, come ci rivela lei stessa

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La carriera di Grazia Di Michele inizia alla fine degli anni '70 al Folkstudio di Roma, sua città natale; del 1977 è il suo primo album “Clichè”, che affronta temi sociali. La prima partecipazione a Sanremo è del 1990, con “Io e mio padre”, seguita l'anno seguente da “Se io fossi un uomo”, nel 1993 da “Gli amori diversi”, in coppia con Rossana Casale, e nel 2015 da “Io sono una finestra”. Negli anni '90, dopo aver conseguito il diploma in Musicoterapia, si dedica ad attività di impegno sociale rivolte soprattutto ai disabili e alla creazione di un'incubatrice sonora per bambini nati prematuri, attualmente in fase di sperimentazione. Inizia intanto a svolgere anche attività di docenza, insegnando canto presso l'Università della Musica di Roma e gli “Amici di Maria De Filippi”, su Canale 5. Nel 2004 porta in teatro con Maria Rosaria Omaggio “Chiamala vita”, spettacolo patrocinato dall'Unicef a sostegno dei bambini vittime dei conflitti armati, al quale seguono altre esperienze teatrali tra cui, nel 2019, “Sante bambole puttane”. Collabora con l'“Huffington Post” e “Optima Magazine” e ha dato alle stampe il suo primo romanzo “Apollonia”. Ma i suoi progetti non finiscono qui, come rivela lei stessa.

Quanto conta ancora l'esperienza al Festival nella carriera di un'artista?

È sempre importante, ti dà una grande visibilità e. A Sanremo si muove tutto il mondo della discografia e degli spettacoli live: quei passaggi televisivi in mondovisione, le interviste, l'interesse che si muove intorno al Festival sono una grande opportunità. A parte questo, fortifica il carattere, è un'esperienza emotiva eccezionale.

Ha qualche ricordo particolare dei colleghi con cui ha collaborato, da Eugenio Finardi a Pierangelo Bertoli, da Ornella Vanoni a Massimo Ranieri?

Tanti, per ciascun artista. Eugenio è un fratello sensibile, anche troppo, e pieno di energia, ironia e talento. Quando vivevo a Milano scrivevamo insieme nella mia cucina, di sera, con i nostri figli che giocavano in camera, e poi coltiviamo tanti ricordi di vacanze assieme… Pierangelo era forte e potente, anche se con i suoi momenti di down e sapeva essere di una simpatia rara. Ornella è unica, schietta, diretta, elegante, con quel timbro e quella voce è nata per cantare: a Milano abitavamo vicine e spesso scrivevamo insieme nella sua bellissima casa. Come non amarla? Massimo è una forza della natura, quando cantammo insieme “L'amore va in scena”, arrivò in studio trafelato, neanche il tempo di respirare, si posizionò dietro il microfono e ci stese tutti.

Lei insegna e ha partecipato come docente al talent “Amici” di Maria De Filippi, dal 2003 al 2015, e poi al talent show per bambini “Pequinos Gigantes”: cosa pensa di queste gare molto seguite e criticate, sono il modo giusto per formare musicale alla professione?

Ho insegnato nei reality, nei Conservatori, nelle scuole, e lo standard formativo credo e spero sia stato sempre alto per tutti gli allievi. I ragazzi che partecipano ad “Amici” hanno la possibilità di lavorare con professori di alto livello, di misurarsi con il pubblico, di affrontare visibilità e opportunità che altrimenti non avrebbero per inserirsi nel mondo del lavoro. Quelle dei talent sono delle scuole e anche delle gare, ma la vita ti pone continuamente davanti alla competizione. Trovo sbagliato criticarne il meccanismo, anche gli atleti fanno le gare, anche i concorsi sono gare. Ovviamente ci sono anche altre strade, di alto spessore culturale e formativo, l'importante è dare ai ragazzi una formazione valida e consapevolezza, insegnare la cultura musicale e aiutarli a sviluppare la propria personalità artistica, come ho sempre cercato di fare.

Ha conseguito il diploma di musicoterapeuta e progettato un'incubatrice sonora: a cosa sono dovuti l'impegno in ambito scientifico e sociale?

L'infelicità del prossimo mi impedisce di essere del tutto felice. Da quando ne conservo memoria, ho sempre avuto grande attenzione per chi era svantaggiato, meno fortunato di me, e ho cercato di fare qualcosa, di rendermi utile. La musicoterapia mi ha consentito di avvicinarmi a chi vive situazioni di disagio attraverso il suono, un linguaggio universale unico, ancora da esplorare nel suo valore terapeutico. L'incubatrice sonora è stato il tema della mia tesi di laurea, un'idea poi diventata realtà, attualmente in sperimentazione in alcuni ospedali, come quello Civile di Brescia.

Grazie Di Michele

Qual è in generale il suo rapporto con la scienza e con il mondo della ricerca?

Sono per natura curiosa, mi piace scoprire, capire e approfondire le materie che non conosco, ovviamente fin dove mi è possibile. Guardo con piacere i documentari e leggo riviste divulgative. A mio figlio, quando era piccolo, compravo sempre “Focus”.

Lo scorso anno ha pubblicato il suo primo libro, “Apollonia”, la cui protagonista è una bambina che ha il dono delle visioni. Da cosa le è stata ispirata questa storia?

Dalla fantasia, dalla lettura di grandi scrittori sudamericani, da una mia esperienza personale, dalla storia delle donne “visionarie” e dalla persecuzione e incomprensione che hanno subito. Lei ha parlato giustamente di “dono”, ma la visione non è stata sempre considerata tale, anzi spesso è stata interpretata come manifestazione di stregoneria.

In teatro è stata autrice e interprete di rappresentazioni dedicate alle donne “invisibili”, come “Sante bambole e puttane”, o alle vittime di situazioni a rischio, come in “Chiamala vita”. Le donne sono anche protagoniste di molte sue canzoni. Pensa che attraverso l'arte sia possibile intervenire contro la discriminazione di genere e la violenza verso le donne?

Ne sono convinta, al punto che da 30 anni, con la collaborazione di mia sorella Joanna ai testi, attraverso le canzoni indago l'animo femminile, ma soprattutto la condizione e le battaglie delle donne. Dal primo disco, “Clichè”, in cui abbiamo veicolato temi quali l'aborto, l'omosessualità femminile, il rapporto con uomini assenti o disattenti, fino al nuovo disco “Sante bambole puttane”, in cui si rimarcano differenze e stereotipi che sembra non siano ancora stati abbattuti. Le canzoni, i video, come quello di “Sonia, la gente che parla”, una delle canzoni sul tema, sono ottimi mezzi per foc

Credo che le donne soffrano la situazione di divario in ogni ambito, artistico, lavorativo, scientifico, anche se faticosamente hanno dimostrato e dimostrano di avere talento, testa e cuore per affrontare qualsiasi ostacolo e raggiungere obiettivi alti in ogni campo. Ipazia mi ha sempre affascinato, anche se non le ho mai dedicato una canzone: mai dire mai…

I suoi progetti per il futuro?

È appena partito il tour “Cantautrici” con Mariella Nava e Rossana Casale per promuovere la scrittura d'autore al femminile, non solo nostra ma anche delle nuove leve. Stiamo contemporaneamente preparando un album di inediti scritti a sei mani. Sto promuovendo “Apollonia” e “Sante bambole puttane”. A marzo debutterà un nuovo spettacolo teatrale con Stefano Fresi e Alessandra Fallucchi al Teatro Golden di Roma e, a seguire, sto organizzando un Festival sulla canzone d'autore al femminile con Mariella e Rossana. Poi ho in cantiere la seconda edizione di un evento con diversi cantautori italiani. “A tu per tu con”, sto scrivendo un secondo libro e ho nella testa da tempo un progetto che riguarda il rapporto tra l'uomo e il suono, mi piacerebbe trovare orecchie attente per spiegare di che si tratta…

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