Editoriale

Verità: si può imporla per legge?

verità
di Marco Ferrazzoli

Contro l'incapacità - soprattutto dei giovani - di ragionare sull'informazione in Rete e la tendenza a farsi portatori di fake news e anche di aggressioni verbali su Internet, bisogna agire sul piano culturale ma anche normativo. Se ne parla in Germania ma anche da noi, con un disegno di legge che prevede pene pecuniarie e detentive. Il dibattito ricorda un po' quello sul 'negazionismo', per il quale la Camera ha approvato un testo che commina da 2 a 6 anni di carcere: una misura che ha suscitato dubbi in diversi esperti

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Il dibattito sulla 'post-verità' di cui avevamo parlato nell'editoriale di un precedente Almanacco della scienza è proseguito incessante. Una ricerca della Graduate School of Education di Stanford sugli studenti di secondaria, licei e università, denuncia l'“inquietante incapacità degli studenti di ragionare sull'informazione che vedono in Rete, la difficoltà a distinguere la pubblicità dalle notizie, o a identificare le fonti delle news”. È il problema che Robert Proctor, docente di Stanford che studia il fenomeno dal 1995, chiama 'agnotologia', cioè la non conoscenza, l'ignoranza indotta. Un'ingenuità che si traduce nella tendenza dei ragazzi a farsi a loro volta portatori di fake news e, purtroppo, anche di aggressioni verbali: per il Safer Internet Day, Telefono Azzurro ha avvertito che in Italia due ragazzi su tre riferiscono di essere stati vittime di insulti, mentre l'Università Sapienza ha diffuso dati secondo cui ben 8 adolescenti su 10 considerano non grave ferire qualcuno sul web, anche per la convinzione (71%) di non incorrere in alcuna conseguenza.

C'è quindi bisogno di agire sul piano culturale ma anche normativo. L'attuale vaghezza consente paradossi come quello di Arianna Drago, la ragazza che dopo aver segnalato casi di foto di donne lasciate su Fb alla mercé di “utenti maniaci”, come li aveva definiti in un suo post, si è vista disattivare il proprio profilo anziché quello dei gruppi di 'hate speech' da lei denunciati. Una vicenda tanto più da segnalare oggi, visto che questo Almanacco esce il giorno dedicato alla donna, l'8 marzo. Così come merita di essere sempre ricordato il tragico caso di Tiziana Cantone, la 31enne suicidatasi dopo che alcuni video a carattere sessuale che la riguardavano erano finiti in Rete: l'ordinanza di rimozione immediata emessa dal Tribunale di Napoli è stata per fortuna confermata, respingendo un ricorso.

Il cyberbullismo – al quale presso la sede del Cnr è stato dedicato un incontro con la partecipazione di diversi soggetti istituzionali e di psicoterapeuti come Maria Rita Parsi – è un fenomeno grave e i social network sono ormai tanto diffusi e pervasivi da rendere necessaria una regolamentazione più puntuale: basti pensare che il 44% degli statunitensi vi cerca informazioni e che 28 milioni di italiani sono presenti su Facebook. Se e come introdurre sanzioni pecuniarie o addirittura detentive è però ancora oggetto di discussione. La cancelliera tedesca Angela Merkel, avvertendo che la Rete “non è uno spazio senza legge”, ha annunciato normative per costringere i social a rimuovere entro 24 ore i contenuti che incitano all'odio e il direttore operativo di Facebook, Sheryl Sandberg, ha intanto stretto un accordo con Correctiv che dovrebbe consentire una forma di controllo in tal senso e annunciato un progetto di avvicinamento della piattaforma al mondo culturale giornalistico.

Se in Germania si pensa di punire i gestori dei social con multe fino a 500 mila euro, in Italia un disegno di legge bipartisan presentato in Senato prevede invece pene fino a 10 mila euro di ammenda e a 2 anni di carcere per chi pubblica “notizie false, esagerate o tendenziose”. Come scriviamo riguardo alla campagna #BastaBufale lanciata dalla presidente della Cameria, Laura Boldrini, la proposta suscita però anche critiche e timori di censura. Questo dibattito ricorda un po' quello tra storici e studiosi sul 'negazionismo', che lo scorso anno ha portato la Camera ad approvare un testo che commina da 2 a 6 anni di carcere per il reato di “negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra”. Una misura che ha suscitato dubbi in diversi esperti, persino ebrei, i quali si chiedono se e come sia possibile e utile 'imporre' la verità storica per legge.

Il tema del rapporto tra norme e verità è complesso e sempre più ampio. Pensiamo al caso dei genitori vegani ai quali è stata tolta la patria potestà sul figlio sottopeso. Oppure a un concetto come 'razza': saggi recenti come 'Gli africani siamo noi. Alle origini dell'uomo' del genetista Guido Barbujani ne contestano fortemente l'utilizzo applicato alla specie umana e anche il paleoantropologo Giorgio Manzi della Sapienza lo ritiene “molto inappropriato”. Lo storico Emilio Gentile – recensendo 'La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti' di Johann Chapoutot - ci ricorda però come, fino a pochi decenni fa, folte schiere di scienziati ne sostennero invece la correttezza, offrendo in tal modo a Hitler una sorta di 'scusa' in base alla quale attuare il suo folle disegno. Anche le posizioni culturali degli studiosi, insomma, cambiano con il tempo. Ora a dividere il mondo accademico e della ricerca è la proposta di impedire persino l'uso del lemma “razza”, per esempio estromettendolo - come hanno chiesto alcuni membri della Società antropologi italiani - dall'articolo 3 della Costituzione, il cui senso è ovviamente di piena contrarietà a qualunque discriminazione.

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