Focus: Sanremo: fallimenti di successo

Asfalto bollente nella via Gluck

cantiere
di Sandra Fiore

Al posto dell'erba, colate di cemento che sigillano il suolo, con il rischio di inondazioni, la perdita di mitigazione degli effetti termici locali e la conseguente formazione delle isole di calore, fenomeno tipicamente urbano. Adriano Celentano nella celebre canzone "Il ragazzo della via Gluck", oltre quarant'anni fa, anticipava questioni di rilevante attualità, legate al consumo delle aree verdi nelle grandi città

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Erba e cemento

“Là dove c'era l'erba ora c'è una città e quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà?”. È il 1966, la ripresa dell'Italia post bellica ha già fatto esplodere il boom economico ed edilizio, quando Adriano Celentano irrompe sul palco di Sanremo con “Il ragazzo della via Gluck”, ballata rock che anticipa il tema del consumo di suolo, dell'urbanizzazione e della sostenibilità ambientale. L'Occidente è attraversato dai primi movimenti ecologisti, il cui sentire oggi è raccolto dai Fridays for future. Lo sviluppo industriale e la cementificazione si toccano con mano soprattutto nelle grandi città come Milano, dove si trova la via Gluck. Oggi una strada stretta e lunga, abitata in massima parte da extracomunitari arabi e cinesi, a due passi dal muraglione della Stazione Centrale.

Dal Festival, Celentano chiede: “Perché continuano a costruire le case e non lasciano l'erba?”. La rapida edificazione aveva divorato i campi di periferia dove il cantante trascorreva il tempo libero da bambino, prima di lasciare il quartiere per andare a vivere in centro. La canzone, divenuta tra le più famose, viene esclusa dal Festival dopo la prima serata, ma il successo di vendite è immediato: il disco raggiunge il secondo posto nella hit parade italiana dell'anno e resta sicuramente tra i più rappresentativi della produzione dell'artista, che spesso propone riflessioni sulla natura e sulle conseguenze del progresso.

Le conseguenze della mancata programmazione, l'insufficiente salvaguardia delle aree verdi delineano una visione drammatica poi divenuta realtà: inondazioni, frane, smottamenti, allagamenti e turbolenze climatiche, rendono il nostro Paese ogni anno più fragile. A farne le spese sono soprattutto i centri abitati, per effetto della cementificazione selvaggia e dell'impermeabilizzazione del suolo. “Il soil sealing o sigillatura inibisce, parzialmente o totalmente, la possibilità del terreno di esplicare le proprie funzioni vitali, comporta un maggior rischio di dissesto idrogeologico ed eventi estremi, minaccia la biodiversità, provoca la perdita di aree agricole naturali e seminaturali, contribuisce alla progressiva e sistematica distruzione del paesaggio e alla perdita della capacità di regolazione dei cicli naturali e di mitigazione degli effetti termici locali”, spiega Lorenza Fiumi, dell'Istituto di ingegneria del mare del Consiglio nazionale delle ricerche. “Al contrario, la permeabilità dei suoli urbani consente sia la rigenerazione delle falde, cioè un apporto positivo al sistema idrogeologico, sia l'incremento della vegetazione, con una maggiore difesa del suolo e una migliore ossigenazione dell'aria. Purtroppo, spesso si rendono impermeabili all'acqua anche aree che potrebbero essere sistemate diversamente senza alcun problema”.

Il consumo di suolo in Italia continua a crescere. “Le nuove coperture artificiali nel 2018 hanno riguardato in media circa 14 ettari al giorno, poco meno di due metri quadrati persi ogni secondo, ovvero chilometri quadrati di territorio. Una velocità di trasformazione in linea con quella del 2017”, aggiunge Fiumi facendo riferimento ai dati del Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa). “In 15 regioni il suolo consumato nel 2018 va oltre il 5%, con i valori percentuali più elevati in Lombardia (che per la prima volta supera il 13%, pari a 310.642 ettari), Veneto (12,40%, pari a Ha 227.368) e Campania (10,43%, 141.793 Ha). La Valle d'Aosta con 9.500 Ha è l'unica regione rimasta poco sotto la soglia del 3%. Tra i capoluoghi regionali, oltre a Roma, riscontriamo una crescita notevole di superfici artificiali a Venezia (19 Ha in più), Bari (+18), Potenza (+17,3), Milano (+11,5), Cagliari (+8,2) e Bologna (+6,8)”.

Insomma, ogni italiano, anziché un prato o un giardino, ha 380 metri quadrati di superficie occupati da cemento, asfalto e altri materiali artificiali, “Tra le città più grandi si segnala il grado di artificializzazione rispetto ai confini amministrativi di Torino (65,2%), Napoli (62,8%), Milano (57,5%), Pescara (51,3%), Monza (49,7%), Padova (49,5%), Bergamo (45%), Brescia (44,8%), Udine (42,8%), Bari (42,7%) e Firenze (42%). Se poi rapportiamo il suolo cementificato nel 2018 al territorio ancora libero, scopriamo che Milano ha coperto 15 metri quadrati per ettaro”, conclude Fiumi. Tanto cemento fa il paio con le temperature elevate soprattutto in estate, stagione nella quale si registrano parecchi gradi di differenza tra aree urbane e rurali ma anche tra aree con più o meno verde. Fenomeno urbano tipico, studiato dal Cnr, le “isole di calore”: “Le vie urbane catturano una grande quantità di radiazione solare, intrappolata dalle numerose riflessioni multiple che i raggi solari, in una specie di ping-pong, subiscono da parte delle pareti degli edifici e dal fondo stradale asfaltato. A tutto questo si aggiunge la quasi assenza di circolazione dei venti con conseguenze sulla qualità dell'aria”.

Grazie a tecnologie di telerilevamento messe a punto dal Cnr nel 2007 è stato  valutato  lo stato di salute del territorio di Roma ed è emeroso che da Prati all'Eur, da Trastevere alla Magliana, le superfici sono impermeabilizzate da edificazioni e strade al 90%, formando isole di calore fino a quasi 60 gradi. Oltre alla presenza di asfalto e cemento, anche la conformazione urbanistica favorisce le elevate temperature: arterie stradali affiancate da costruzioni di diversi piani formano cioè dei 'canyon' che non permettono la dispersione del calore (dovuto anche al traffico veicolare spesso congestionato) né di giorno né di notte. 

Fonte: Lorenza Fiumi, Istituto di ingegneria del mare , email lorenza.fiumi@cnr.it -

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