Focus: Acqua

La salute delle acque

foto rottami di una bicicletta nell'acqua
di Gaetano Massimo Macrì

L'inquinamento idrico ha ricadute sia sulla salute dell'ambiente che su quella dell'uomo. Un caso particolare è costituito dall'arsenico, presente nelle acque  di diverse zone, ma il problema riguarda anche gli inquinanti agricoli e industriali. Ne abbiamo parlato con Barbara Casentini dell'Irsa-Cnr

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L'inquinamento delle acque rappresenta un problema sia per l'ambiente - quando l'impatto avviene a livello eco-sistemico e riguarda le risorse di acqua dolce e i mari - che per la salute dell'uomo, i contaminanti, dai metalli agli inquinanti organici persistenti, possono essere ingeriti come accade con l'arsenico, presente in alcune aree idrogeologiche del nostro Paese: la pianura alluvionale del Po, le regioni vulcaniche-geotermali e le aree minerarie. Il problema ha animato il dibattito pubblico e centinaia di comuni chiamati a ridurne ridurne la presenza nelle acque distribuite alla popolazione, hanno chiesto deroghe alle normative vigenti. “Dal 31 dicembre 2012 tutti i comuni sono fuori deroga. Questo significa che non può esserci distribuzione di acqua potabile con concentrazione di arsenico superiore a 10 microgrammi/litro, secondo quanto stabilito dal Decreto legislativo 31 del 2 febbraio 2001, con cui il nostro Paese ha recepito la direttiva 98/83/CE”, spiega Barbara Casentini dell'Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Consiglio nazionale delle ricerche. “Nel caso di superamento del limite imposto, il comune deve dichiarare la non potabilità dell'acqua e informare la popolazione sui servizi alternativi attivati, dalle autobotti alle casette dell'acqua, per provvedere poi alla costruzione di impianti dearsenificatori, che consentono la rimozione dell'arsenico attraverso l'uso di filtri”.

La necessità di abbassare il livello dell'arsenico nell'acqua è motivata dalla sua pericolosità per la salute. “L'arsenico è un cancerogeno e anche l'Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) nel 2009 si è espressa in tal senso”, sottolinea Casentini. “La sua presenza nelle acque sotterranee, poi, essendo di origine geogenica, ossia naturale, non può essere ricondotta a una zona precisa”.

La ricercatrice è impegnata in due progetti sull'arsenico. Uno di cooperazione bilaterale Italia-India ha l'obiettivo di valutare la gestione ambientale dei filtri esauriti degli impianti di dearsenificazione nei due paesi. L'altro, il progetto Bata (http://sites.unimi.it/BATA/it/) svolto in collaborazione con l'Università degli studi di Milano e finanziato dalla Fondazione Cariplo, “prevede lo studio di materiali innovativi a base di ferro, incluse nanoparticelle per la rimozione di arsenico basandosi su processi chimici e biologici e la possibilità di utilizzare batteri per la loro capacità di ossidare l'arsenico e, quindi, renderlo più facilmente rimovibile”.

Rilevante è anche l'inquinamento delle acque nel settore agricolo, dovuto all'uso di fertilizzanti come i nitrati. "Oggi è difficile trovare in Italia pozzi con valori di nitrati bassi, tali da poter considerare la falda immune dall'impatto antropico”, continua la ricercatrice. C'è poi l'inquinamento provocato da infiltrazioni in falda da fusti in discariche abusive o da scarichi non autorizzati in acque superficiali usate anche in agricoltura. “L'inquinamento meno invasivo è quello che deriva dagli scarichi urbani che vengono sempre trattati; anche se per alcuni tipi di inquinanti come quello da farmaci il trattamento non risulta sempre efficace al cento per cento e porta a un inquinamento delle acque superficiali, con possibili ricadute anche su quelle sotterranee”.

Le acque inquinate, come detto, sono pericolose sia per l'uomo che per l'ambiente. “La presenza di pesticidi, farmaci, idrocarburi e metalli ha una ricaduta sull'ecologia di tutti i sistemi idrici, a partire dall'impatto sulle comunità di batteri preposti a svolgere un ruolo importante nei processi di biodegradazione di inquinanti e di controllo della loro diffusione in ambiente”, conclude Casentini. “Questo genera un bioaccumulo di inquinanti negli animali più predatori, che termina poi sulle nostre tavole. In questo contesto le sostanze più pericolose perché non vengono biodegradate facilmente hanno la capacità di concentrarsi nei tessuti di piccoli organismi, anche nei pesci. Queste tracce sono state rilevate persino in ambienti estremi, quali Artide e Antartide”.

Fonte: Barbara Casentini, Istituto di ricerca sulle acque, Roma, email casentini@irsa.cnr.it

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