Focus: La morte

L'immortalità a parole

letteratura
di Marina Landolfi

Da sempre l’uomo ha cercato di 'superare’ la morte: letterati e artisti lo fanno attraverso le loro opere. Ne abbiamo parlato con Antonella Emina, dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea

Pubblicato il

“Uno scrittore non muore mai, perché ci lascia i suoi libri”. Un pensiero che, se può valere per molti autori, vale ancor di più per Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel nel 1982, che si è spento lo scorso aprile all’età di 87 anni, lasciando in eredità i suoi romanzi e racconti. Tra questi 'Cent’anni di solitudine’, uno dei suoi 'eterni’ capolavori, tradotto in più di trenta lingue, con 60 milioni di copie vendute, un 'must' della letteratura internazionale nel quale lo scrittore colombiano ha mescolato la dimensione fantastica e quella reale, contribuendo a far conoscere al mondo la magia dell’America latina.

Da sempre letteratura e arte sono strumenti con cui l'uomo cerca di sopravvivere a se stesso. Come afferma Giorgio De Chirico, “per divenire immortali si devono sempre superare i limiti dell'umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica”. “Arti e letteratura di tutti i tempi si fondano essenzialmente su due principi: la rappresentazione della dialettica vita-morte e la ricerca del superamento del 'paradosso’ dell’esistenza umana”, afferma Antonella Emina, storica della letteratura e direttrice dell’Istituto di storia dell’Europa mediterranea (Isem) del Cnr. “Il tragico della dimensione storica, cioè temporale e dinamica, nella vita umana è un punto focale dalla letteratura contemporanea. La scrittura si compiace di raccontare la morte e la finitezza dell’uomo, come nel giallo e nel noir, dove avviene la sua messa in scena costante e la ricerca del suo senso, attraverso le indagini. Tra i molti esempi, Jean-Claude Izzo con la trilogia del detective Fabio Montale dà voce alla brutalità della vita umana, senza indicare soluzioni, se non con la grandezza di un uomo 'morale’ che prevale su un mondo immorale”.

cultura

Ottocento e Novecento hanno espresso quest’assurdità ineludibile della condizione umana tentando diverse risposte, dai grandi romanzieri russi a Jorge Luis Borges, per tornare ai sudamericani da cui siamo partiti. Ma la studiosa propone un altro autore francese come spunto di riflessione. “Albert Camus colloca l’arte al di sopra della vita e dei suoi schemi razionali, in una sorta di sospensione temporale, poiché la creazione letteraria rende reale ciò che si trova al di là della linea dell’esistente. L’opera come monumento-ricordo del suo autore, però, non può soddisfare tutte le istanze che lo scrittore moderno delega alla scrittura: pensiamo al Faust goethiano riletto e riscritto nel 'Dorian Gray’ di Oscar Wilde, che cerca di fermare la giovinezza e la vita che passano attraverso un escamotage tanto tragico da perdere l’anima”.

La letteratura e l’arte danno sostanza alla memoria attraverso un’esperienza che non è meccanica costruzione del ricordo, ma esperienza spirituale in cui l’individuo trova il senso pieno del suo essere. “Al di là della letteratura che immortala, capace di 'fissare sulla pagina la bellezza che sfiorisce’, e della letteratura celebrativa dell’opera d’autore, la scrittura diventa lo spazio della comunione, per dirla alla Camus, dove l’azione creativa recupera all’esistenza ciò che l’assurdità della mortalità nega”, conclude Emina.

Fonte: Antonella Emina, Istituto di storia dell'Europa mediterranea, Torino, tel. 011/8170517 , email emina@isem.cnr.it -

Tematiche
Argomenti