Focus: Migrazioni

Giovani italiani all'estero, il rischio brain waste

studenti in aula
di Anna Capasso

Per i nostri studenti universitari, formarsi all’estero significa facile accesso al mondo del lavoro e maggiori prospettive di guadagno e carriera. Regno Unito, Germania e Usa le mete preferite con un occhio di riguardo verso le facoltà scientifiche. A studiare il fenomeno Maria Carolina Brandi dell’Irpps-Cnr per il rapporto annuale 'Italiani nel mondo’ della Fondazione Migrantes

 

 

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Aumenta il numero di studenti universitari che preferisce proseguire gli studi all’estero. Chi solitamente si laurea fuori della nostra nazione ha maggiori possibilità di occupazione e carriera. A fotografare il fenomeno, Maria Carolina Brandi dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr di Roma, che ha pubblicato lo studio nel rapporto 2013 'Italiani nel mondo’ a cura della Fondazione Migrantes.

“Secondo gli ultimi dati Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), nel 2011 studiavano all’estero circa 62.580 universitari, quasi 23.000 in più rispetto al 2008”, afferma Brandi. “In passato, dal 2003 al 2008, il numero degli studenti italiani iscritti negli atenei stranieri era invece diminuito, probabilmente per l’introduzione anche nel nostro Paese della laurea triennale, che ha permesso un percorso universitario più rapidamente spendibile nel mondo del lavoro”.

 

studenti

Nello studio Irpps-Cnr si evidenzia che, dal 2008, il numero di universitari italiani ha ripreso a crescere in tutti i paesi, ma in particolare nel Regno Unito, che risulta di gran lunga la meta preferita dai nostri connazionali, con 11.371 presenze nel 2011. Considerevole è anche l’aumento in Germania (8.857 presenze), in Austria (7.594), in Spagna (6.101), in Francia (5.851) e negli Stati Uniti (4.036). “Un fenomeno certamente condizionato dal fatto che molte nazioni Ocse, come Stati Uniti, Regno Unito e Germania, incentivano l’iscrizione di studenti stranieri per accrescere il proprio capitale umano per la scienza e la tecnologia”, commenta la ricercatrice. “Infine, come risulta da molte nostre ricerche, in Italia non è raro che i laureati trovino poi spesso lavori poco qualificati, generando un 'brain waste’, uno spreco di cervelli e di risorse economiche investite per la loro formazione. I nostri giovani sono così incentivati a studiare in quelle nazioni dove il capitale umano formato non viene poi sottoutilizzato”.

Sono infatti molti gli italiani che scelgono di restare a lavorare all’estero dopo l'esperienza di studio, specialmente nei settori disciplinari connessi con le nuove tecnologie. “Questa tendenza è confermata anche da un nostro studio, svolto con l’università di Trento su dati di Alma Laurea, che ha mostrato l’elevata incidenza degli italiani laureati in discipline scientifiche negli Usa, paese che investe molto in ricerca e sviluppo sia nel settore pubblico sia nelle imprese”, conclude Brandi. “Inoltre, chi lavora all’estero, rispetto a chi lavora in Italia, ricopre più spesso posizioni da dirigente, riceve uno stipendio più alto ed è  soddisfatto del prestigio che ha sul lavoro, delle prospettive di guadagno e di carriera, del tipo di contratto, dell’indipendenza professionale. Quindi, in media non ha motivo per cercare un altro impiego nè per rientrare in patria”.

Per saperne di più: La mobilità internazionale degli studenti universitari e dei giovani laureati - Rapporto Italiani nel mondo 2013, Fondazione Migrantes

 

Fonte: Maria Carolina Brandi, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Roma, tel. 06/492724213 , email carlotta.brandi@irpps.cnr.it

 

 

 

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