Focus: Notte

Ma la notte no

Strada deserta di notte
di Alessia Cosseddu

Dalla scorsa estate, la movida notturna è stata considerata una delle principali cause del contagio, portando a progressive limitazioni normative. Il termine "coprifuoco" è tornato così a far parte del nostro lessico. Ma sono anche altre le parole forti associate alla pandemia, come “guerra”, “fronte”, “prima linea”. Usare queste espressioni quando si parla di Coronavirus può generare ansia? Ne abbiamo parlato con Mattia Vitiello dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali

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"Ma la notte no" cantava Renzo Arbore nella sigla dell'indimenticabile programma televisivo degli anni '80 "Quelli della notte". Nell'attuale emergenza sanitaria, a partire dalla scorsa estate, la movida notturna è stata una dei principali indiziati di contagio, portando a limitazioni negli orari notturni che hanno riportato il termine "coprifuoco" nel nostro lessico. La scelta di parole forti come questa e come "guerra", “fronte”, "prima linea”, può generare ansia, almeno nelle persone più sensibili che vivono con maggiore apprensione l'emergenza?

Già durante il lockdown della cosiddetta “fase 1”, Cristina Marras dell'Istituto per il lessico intellettuale delle idee del Cnr sottolineava come la pandemia stia influenzando il linguaggio: "Dal neologismo infodemia, ovvero epidemia di notizie, a virale, che si riappropria della sua accezione dopo essere diventato un sinonimo di successo nella diffusione sui social di un contenuto, fino all'uso di termini bellici per indicare la malattia da sconfiggere, le parole influenzano i contesti e ne sono a loro volta influenzate. Che percezione ed esperienza della pandemia avremmo avuto se invece della metafora della guerra ne avessimo usato un'altra?".

"Coprifuoco viene usato per indicare l'isolamento nelle nostre case imposto al fine di prevenire i contagi. Associamo da sempre questo termine al pericolo: alla guerra in passato e al contagio oggi. Un pericolo reale esiste ma la parola non dovrebbe indurre timore: in origine indicava l'ordine di spegnere i fuochi per prevenire gli incendi", spiega Mattia Vitiello, sociologo dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali.

Un tempo la socialità urbana notturna era caratterizzata proprio dall'illuminazione: “Parigi deve il suo appellativo di Ville Lumière al fatto di essere stata una delle prime città dotate di lampioni a gas, grazie a cui la notte si trasformò da momento pericoloso, da vivere chiusi in casa, a un invito a vivere fuori della propria abitazione”, prosegue il ricercatore. “La notte fu così sottratta al riposo e resa disponibile all'intrattenimento e alla convivialità. La tradizionale tripartizione delle 24 ore in lavoro, famiglia e sonno, fu stravolta nelle metropoli come New York, the city that never sleeps. Solo durante i bombardamenti bellici la notte si è spenta e oggi sembra che la storia si ripeta: coprifuoco significa ritornare chiusi in casa ad aspettare che arrivi il giorno per tornare a vivere e lavorare. La socialità è riconfinata nel giorno”. 

 

 

Fonte: Mattia Vitiello, Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Roma, tel. 06/492724211 , email mattia.vitiello@irpps.cnr.it -

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