Focus: Quaresima

Digiuno e astinenza nelle tre religioni

Quaresima
di Sandra Fiore

Pratiche già diffuse nei politeismi - per manifestare il lutto, dimostrare forza d'animo o entrare in contatto con il sovraumano – sono confluite nelle tre religioni monoteiste. Atto penitenziale ed espiratorio, percorso spirituale, esercizio di dominio sui nostri istinti… A illustrare gli aspetti fondamentali di tali precetti è Paolo Xella, dirigente di ricerca emerito dell'Istituto di scienze del patrimonio culturale del Cnr

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I quaranta giorni che precedono la Pasqua sono per i fedeli cristiani un periodo di preparazione e conversione e, in tale ambito, il digiuno è una delle pratiche di più antica tradizione. Ma quel è il senso che esso assume nelle altre due religioni monoteiste, Ebraismo e Islamismo?. “Partiamo intanto dai sistemi religiosi non monoteistici delle società antiche e tradizionali, dove la pratica di digiunare è diffusa in due tipologie di riti. In quelli di lutto, come manifestazione di vicinanza al defunto che non si nutre più, di dolore per la perdita, di purificazione”, spiega Paolo Xella, storico delle religioni e specialista delle culture del Mediterraneo antico, dirigente di ricerca emerito dell'Istituto di scienze del patrimonio culturale (Ispc) del Cnr. “Nei riti di iniziazione costituisce parte delle prove da superare prima di passare la soglia che, ad esempio, consente di accedere ai vari gradi dei culti misterici, oppure all'ingresso in classi e condizioni di età rilevanti socialmente: l'uomo tra i guerrieri, la donna tra le future mogli e madri. In generale, è concezione diffusa che l'astinenza, dal cibo e non solo, propizi uno stato di purezza”.

Preghiera

Il digiuno quindi concepito come esercizio del controllo sulla propria fisicità. “Altre volte è ritenuto una pre-condizione atta a favorire il contatto con il mondo extra e sovraumano, per esempio nello Sciamanesimo”, continua lo studioso. “Specie se prolungato, può provocare stati psicologici alterati che producono visioni e allucinazioni che permetterebbero, appunto, di agire in una dimensione altra a vari fini: predire il futuro, risolvere problemi in corso, riappacificarsi con entità superiori ostili…”.

L'archeologia non offre molte testimonianze di tale pratica nelle religioni pagane, mentre evidenzia piuttosto la funzione rituale dei pasti sacri e gli stati di ebbrezza. “Su base comparativa, possiamo però supporre che concezioni analoghe a quelle appena descritte circolassero a vari livelli, anche se non vi sono chiare tracce, a parte la grande eccezione delle istituzioni iniziatiche di Sparta”, aggiunge Xella. “Anche nelle tre religioni monoteistiche la pratica del digiuno viene accolta e codificata dai relativi testi sacri: Torah e Bibbia Ebraica; Antico e Nuovo Testamento cristiani; Corano islamico, con l'immenso contributo esegetico e precettistico posteriore”.

Nell'Ebraismo, il digiuno (ta'anit) viene praticato in varie occasioni e a vari fini, soprattutto come atto penitenziale ed espiatorio, ma anche come manifestazione di lutto o di preghiera. In alcuni casi è volontario, in altri, in genere riferiti alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, obbligatorio. “Il Giorno dell'espiazione (Yom Kippur) è la celebrazione volta a espiare i peccati commessi durante l'anno e cade dieci giorni dopo il Rosh Ha-shanah, cioè il Capodanno, tra settembre e ottobre del nostro calendario”, prosegue il ricercatore. “I peccati riguardano il rapporto sia con Yhwh (questo il nome di Dio nella Bibbia, pronunciato come Adonai, Signore, in segno di rispetto), sia con gli altri membri della comunità e dell'umanità in genere. Il digiuno va dal tramonto all'alba del giorno seguente, includendo cibo e bevande, acqua inclusa, l'astinenza sessuale, le abluzioni, le profumazioni, l'uso di scarpe di cuoio e le restrizioni abituali dello Shabbat”.

Nell'Islamismo, questo tipo di penitenza viene praticata nel mese del Ramadhan, di 29 o 30 giorni, variabile rispetto al nostro calendario, memoria rituale dell'epoca in cui, secondo il Corano, Muhammad avrebbe ricevuto la rivelazione del testo sacro da Allah per tramite dell'arcangelo Gabriele. Sono previste esenzioni in casi come malattie e stati di debilitazione o impossibilità, ma con obbligo di recupero appena si torni in condizioni di normalità. “Nell'Islam il digiuno, insegnato da Allah nel Corano (Surat ul-Baqarah, 2,183 e passim) è uno dei Cinque pilastri che contrassegnano la fede”, precisa Xella. “Tutti gli adulti in salute lo devono praticare dall'alba al tramonto, non assumendo cibi né bevande di alcun genere, sono proibiti anche rapporti sessuali e fumo. Nell'Islam non vi sono propositi espiatori o di pentimento, ma di autocontrollo su desideri fisici ed emozioni: il dominio sul corpo affranca l'anima dalle dipendenze materiali, la purifica perché possa riunirsi ad Allah. inoltre, privandosi di alimenti e bevande, il fedele apprezza meglio i doni ricevuti da Dio, rendendosi più aperto alla condivisione e alla carità. Il calendario islamico prevede anche alcuni giorni ogni mese in cui il digiuno è consigliato, ma non obbligatorio”.

Nel Cristianesimo il periodo di quaresima è piuttosto un periodo di ascesi e di ricerca di Dio in cui il privarsi di qualcosa è scelta libera e personale che può essere a livello alimentare, ma può riguardare anche il proposito di fare delle azioni buone. L'antica tradizione contempla l'astinenza dalle carni il venerdì e il digiuno il mercoledì delle Ceneri e il Venerdì santo.

Come negli altri monoteismi, il controllo dei nostri appetiti induce a disciplinare e migliorare il rapporto con Dio ma anche con gli altri esseri umani: privandoci liberamente di qualcosa, mostriamo che il prossimo in difficoltà non ci è estraneo.

Fonte: Paolo Xella, Istituto di scienze del patrimonio culturale , email pxella@yahoo.it -

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