Focus: Fotografia

Quando è la foto a farsi un ritocchino

fotografie
di Marina Landolfi

Con l'arrivo del digitale si è aperta la possibilità di perfezionare e ritoccare l'immagine. Grazie a software molto diffusi, si può ora intervenire sulla qualità dello scatto nella post produzione. Ne abbiamo parlato con Massimo Guerra, fotografo e collega Cnr

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L'avvento del digitale ha offerto nuove opportunità creative alla fotografia, consentendone una libera reinterpretazione. La post produzione, l'elaborazione di un'immagine è la fase attraverso cui l'autore decide cosa comunicare mediante software specifici perfezionando la foto dopo lo scatto. Gli interventi possono variare dal bilanciamento del bianco al ritaglio dell'immagine, fino al controllo dell'esposizione. “Con il passaggio dalla fotografia tradizionale su pellicola a quella digitale si è avvertita da parte dei fotografi professionisti l'esigenza di agire sull'immagine, condizionando i parametri fondamentali quali tonalità, saturazione, contrasto, esposizione e bilanciamento”, spiega Massimo Guerra, diplomato all'Istituto cine-tv “R. Rossellini” di Roma, responsabile del Laboratorio di documentazione scientifica video-fotografica dell'Istituto di ingegneria del mare (Inm) del Cnr di Roma. “La principale differenza è nella tecnologia utilizzata per acquisire i dati: dal supporto analogico che utilizza granuli di alogenuro d'argento e copulanti, sostanze cromatiche per riprodurre i colori stimolati dalla luce, al sensore digitale, che passa l'informazione dalle singole celle sensibili alla luce (fotodiodi) a una memoria. È importante sapere che questi fotodiodi sono tutti uguali e leggono solo la luminosità: la loro percezione è in bianco e nero e solo grazie al filtro (Bayer) viene attribuito a ogni fotodiodo un colore diverso nella terna di base rosso, verde e blu (Rgb). Quindi, un algoritmo ricostruisce ogni singolo colore. Nella post produzione c'è inoltre la possibilità di fare il fotoritocco, la modifica dell'immagine con filtri, ritocchi dei tratti somatici delle persone e l'inserimento/rimozione di oggetti dall'inquadratura”.

photoshop

Raw e Jpeg sono i formati per immagini più popolari. Il Raw (dall'inglese grezzo) rappresenta i dati raccolti dal sensore al momento dello scatto e solo marginalmente manipolati dalla fotocamera. È il formato di memorizzazione più utilizzato tra i professionisti della fotografia digitale, dato il maggior numero di informazioni che può contenere. Il formato Joint Photographic Experts Group (Jpeg) è molto utilizzato nelle immagini sul web, grazie alle ridotte dimensioni dei file a fronte di una buona qualità. Le foto scattate in Raw permettono il controllo in post produzione di tutti i parametri, incluse le operazioni di correzione e bilanciamento. “Il Jpeg è il formato più comune e famoso tra i fotografi amatoriali, ma anche quello che crea più problemi ai fotografi professionisti per vari motivi, primo tra tutti la sua compressione, che riduce la qualità per i grossi limiti nell'effettuare elaborazioni come il corretto bilanciamento del bianco e la correzione dell'esposizione e per la ridotta profondità di colore”, prosegue l'esperto. “Il fotografo preferisce quindi intervenire direttamente sul file grezzo Raw, escludendo il processore della fotocamera e utilizzando unicamente i dati del sensore”.

Lo sviluppo di altri software disponibili consente di migliorare notevolmente la qualità dell'immagine in termini di esposizione, nitidezza e colori. “I più famosi sono Photoshop e Lightroom, ma esistono tanti altri software dedicati, anche free ware. Grazie a questi, ai sensori di nuova generazione e allo sviluppo dei file Raw, chiamati anche negativi digitali, si possono ottenere ottimi risultati a livello qualitativo e creativo. Ovviamente il loro uso richiede un'approfondita conoscenza della fotografia in tutte le sue componenti”, conclude Guerra.

Fonte: Massimo Guerra, Istituto di ingegneria del mare, tel. 06/50299333 , email massimo.guerra@cnr.it -

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