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Ghiaccio bollente

Ghiacciaio di Kronenbreen, Ny Alesund, arcipelago norvegese delle Svalbard
di Sandra Fiore

È allarme per l'assottigliamento dei Poli: tra il 1976 e il 1997 lo spessore della calotta artica si è ridotto del 43%, mentre in Antartide nell'arco di 25 anni le banchise polari hanno perso 3.000 miliardi di tonnellate di ghiaccio. Abbiamo raccolto la testimonianza di Elena Barbaro, 33 anni, assegnista di ricerca presso Cnr–Idpa e alla quarta missione in Artico per indagare gli effetti del Global warming

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Ghiacciaio di Kronenbreen, Ny Alesund, arcipelago norvegese delle Svalbard

Ghiacciaio di Kronenbreen, Ny Alesund, arcipelago norvegese delle Svalbard. Due scatti fotografici, postati su Facebook da Elena Barbaro, 33 anni, assegnista di ricerca presso l'Istituto per la dinamica dei processi ambientali (Idpa) del Consiglio nazionale delle ricerche, testimoniano un prima e dopo molto eloquenti. Nel 2015, ad aprile, quando Elena si recò per la prima volta alla stazione scientifica Dirigibile Italia del Cnr, il manto gelato e rugoso del Kronenbreen si espandeva verso il mare come una grossa lingua bianca. Nel 2018 a conclusione della quarta missione il panorama non è più lo stesso: il ghiacciaio si è ritirato di 400 metri e il mare si svela con il suo azzurro intenso.

“La scomparsa a partire dal 2011 del ghiaccio marino nel fiordo su cui si affaccia Ny Alesund è facilmente riconoscibile dal nostro monitoraggio annuale. Questo processo va a ridurre l'albedo, ovvero la capacità delle superfici di riflettere la luce solare, con il conseguente aumento del riscaldamento globale”, spiega Barbaro.

“Alcuni composti chimici presenti nei ghiacci sono indicativi del fenomeno in atto: per esempio il black carbon, formato da particelle scure della combustione, raggiunge sotto forma di aerosol atmosferico, quest'area del Pianeta e, depositandosi, attrae le radiazioni solari”.

L'Artico, con i suoi delicati equilibri, è la cassa di risonanza del Global warming. Bastano alcuni dati per comprenderne la portata: tra il 1976 e il 1997, lo spessore della calotta artica si è ridotto del 43%. Uno studio del Cnr pubblicato su 'Nature Communications' sottolinea che “il permafrost sciogliendosi potrebbe scaricare in atmosfera carbonio in quantità pari a quasi due secoli di emissioni, principalmente sotto forma di metano, uno dei principali responsabili del riscaldamento globale”, spiega Tommaso Tesi, ricercatore dell'Istituto per le scienze marine del Cnr di Bologna e primo autore dello studio.

Il tema assume un risvolto non solo scientifico, ma anche politico internazionale: infatti secondo gli esperti  la diminuzione della calotta glaciale consentirà, entro la metà del secolo anche, la navigabilità anche delle navi comuni nei  mari del nord, aprendo nuovi scenari sul controllo di queste rotte marine.

Suona apocalittico il titolo che Peter Wadhams - studioso dei Poli e dal 1987 al 1992 direttore dello Scott Polar Research Institut di Cambridge - ha scelto per il suo recente libro, 'Addio ai ghiacci'. Recenti indagini in Antartide stimano inoltre che nell'arco di 25 anni le banchise si sono ridotte di ben 3.000 miliardi di tonnellate, facendo salire il livello del mare di 8 millimetri. Il dato pubblicato su 'Nature' è frutto di un lavoro internazionale.

Fonte: Elena Barbaro , Istituto per la dinamica dei processi ambientali, Venezia, tel. 041/2348545, email barbaro@unive.it

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