Focus: Gli eventi del 2017

Catalogna: una richiesta illegittima

Barcellona
di Marco Ferrazzoli

Nulla giustifica la dichiarazione di indipendenza di Barcellona: né in termini costituzionali, né sotto il profilo del diritto europeo e internazionale. La secessione non può basarsi su atti unilaterali

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Dal punto di vista politico-istituzionale, l'evento dell'anno, almeno per quanto riguarda l'Europa, è stato senza dubbio la crisi catalana. Il referendum indetto dalle autorità di Barcellona, la dura risposta di Madrid, l'esilio del leader catalano Carlos Puigdemont, hanno segnato una bufera che si è estesa ben oltre i confini iberici. E che si è incrociata con i venti autonomisti che agitano diversi paesi, dalla Corsica alla Scozia, mentre in Nord Italia, due Regioni hanno indetto un referendum per ampliare i loro margini di autonomia. La vicenda catalana ha assunto il valore di paradigma di un'irrisolta questione giuridico-statuale: che valore ha un voto maggioritario a livello locale, favorevole a una scissione, secessione o indipendenza?
“In ordine di diritto generale e nello specifico spagnolo, nessuno”, ricorda Stelio Mangiameli, ordinario di Diritto costituzionale e direttore dell'Issirfa-Cnr, l'Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie. “Già tre anni fa un tentativo di referendum consultivo era stato dichiarato illegittimo dal Tribunale costituzionale spagnolo, riducendosi a una consultazione informale. L'ordinamento costituzionale della Spagna, com'è ovvio per uno Stato unitario, non contempla ipotesi secessioniste: conseguentemente, un Governo centrale non può ammettere trattative in tal senso. L'articolo 2 della Costituzione spagnola proclama l'indissolubile unità della Nazione, patria comune e indivisibile, il principio autonomistico è riconosciuto e garantito in tale quadro”.

Esattamente gli stessi principi, quindi, della Costituzione italiana, che all'articolo 5 recita: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”. Il decentramento e l'autonomia sono principi fondamentali cui vengono dedicati altri articoli della Carta, quali il 114 e il 118, ma subordinati all'unità dello Stato. “Nessuna trattativa per la secessione può essere ammessa tra uno Stato e una comunità regionale: in Spagna la possibilità di ottenere una maggiore autonomia passa attraverso gli statuti e le prescrizioni costituzionali, non per modalità referendarie. La consultazione popolare ha semmai un senso politico, com'è stato per i referendum di Lombardia e Veneto”, prosegue Mangiameli.
La decisione di Barcellona non ha basi neppure in termini di diritto internazionale, sebbene questo aspetto non sia esplicitato. “Il diritto internazionale riguarda i rapporti fra gli Stati, non i loro affari interni, quindi non può legittimare una secessione”, precisa il direttore Issirfa-Cnr, “ancorché non si possa escludere che in caso di una separazione avvenuta di fatto, per quanto illegittima, il nuovo soggetto sia poi ammesso nella Comunità internazionale. L'Unione Europea, per voce della Commissione, ha osservato però che l'eventuale nuovo Stato di Catalogna si troverebbe fuori dalla Ue, poiché l'ordinamento europeo è regolato dalla legalità costituzionale degli Stati membri”.

Un conflitto, per quanto scongiurabile, sarebbe pertanto per la Catalogna l'unica strada per raggiungere una totale e piena autonomia. Del resto è quanto sempre accade nella storia, laddove comunità e territori locali siano inglobati in realtà politico-statuali maggiori e decidano di insorgere per acquisire o ripristinare la propria indipendenza. “Nel caso catalano però, non può proprio applicarsi il principio di autodeterminazione dei popoli, parte del diritto internazionale consuetudinario che postula il diritto di un popolo oppresso di secedere da uno Stato dispotico: una forma estrema di difesa da quelle che vengono definite 'gross violations' dei diritti umani”, precisa il costituzionalista.
Tra l'altro, il diritto di una maggioranza locale di secedere o assumere maggiore autonomia aprirebbe al rischio di una frammentazione localistica a oltranza. Ed essendo i territori più ricchi a sollevare questo tipo di istanza, verrebbe leso il principio solidaristico sul quale le comunità umane devono basarsi. “Esistono però eccezioni in cui l'ordinamento interno contempli la scissione di una parte dello Stato: il Regno Unito concesse tale possibilità alla Scozia con il referendum del 2014, che ebbe poi esito negativo, ma il trattato di Unione del 1706 ha posto una condizione storico-istituzionale del tutto particolare e differente”, conclude Mangiameli. “In assenza di una volontà politica simile che dia fondamento giuridico, nulla può giustificare un atto unilaterale. La concessione di maggiore autonomia trova invece risposte diverse nei vari ordinamenti: nel caso spagnolo, ma anche italiano – come ricordano le richieste avanzate da Veneto, Emilia Romagna e Lombardia – la Costituzione prevede il potenziamento del governo locale”.

 

Fonte: Stelio Mangiameli, Istituto di studi sui sistemi regionali federali e sulle autonomie "Massimo Severo Giannini", Roma, tel. 06/4993770 , email stelio.mangiameli@cnr.it -

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