Focus: Olimpiadi invernali

Segni di ripresa per i laghi alpini

Lago alpino
di Sandra Fiore

Studi recenti hanno evidenziato che questi bacini, colpiti tra gli anni ’70 e ’80 dal fenomeno delle piogge acide, sono stati ricolonizzati da flora e fauna tipiche. La minaccia nel futuro potrebbe derivare dai cambiamenti climatici, che favorirebbero un aumento di biodiversità a scapito delle specie autoctone

Pubblicato il
Lago di Carezza

I nostri laghi alpini d’alta quota godono di buona salute. Gli studi hanno evidenziato come questi ambienti, interessati dal problema delle piogge acide negli anni ’70 e ’80, mostrino oggi segni di ripresa dal punto di vista sia chimico sia biologico.

“Il pH delle acque, ad esempio, è tornato ai valori pre-acidificazione e si assiste alla ricolonizzazione da parte delle specie più sensibili”, spiega Michela Rogora, dell’Istituto per lo studio degli ecosistemi (Ise) del Cnr.

“Tuttavia, se questi bacini non sono più acidi, continuano, però, a ricevere elevati quantitativi di azoto, derivanti dalle emissioni in atmosfera provenienti dalla Pianura Padana”.

Le indagini dell’Ise-Cnr non si fermano al nostro arco alpino: gli studi riguardano anche le aree remote, come Isole Svalbard, Patagonia, Himalaya, 'cartine di tornasole’ dell’evoluzione degli ecosistemi.

"I laghi alpini, e più in generale quelli collocati in aree remote, rappresentano ottimi indicatori dei cambiamenti globali. Lontani dalle principali fonti di inquinamento, possono essere utilizzati per studiare i cambiamenti naturali, come le variazioni climatiche e biologiche a esse connesse e le variazioni indotte a distanza dall’attività antropica, quali il trasporto a lunga distanza degli inquinanti atmosferici”.

I ricercatori dell’Ise-Cnr hanno sotto osservazione gli aspetti chimici e biologici dei laghi Paione, situati in Val d’Ossola, in Piemonte, a 2.000-2.200 metri di quota, di recente entrati a far parte della rete europea Lter per le ricerche ecologiche a lungo termine. “In questi laghi è stata studiata la variazione nel tempo della sensibilità dei macroinvertebrati alla presenza di inquinanti, come i composti acidificanti portati dalle deposizioni, e ai fattori meteorologici, in particolare alle temperature”, continua la ricercatrice.

Altri laghi alpini d’alta quota, monitorati dagli anni ’60, mostrano un cambiamento della composizione chimica delle acque, con un aumento del contenuto in soluti. “Tale fenomeno è attribuibile alla diminuzione della copertura di neve e al ritiro dei ghiacciai, che determinano una maggior esposizione delle rocce e dei suoli agli agenti di erosione”.

In futuro, un ruolo sempre più importante nell’ecologia dei laghi d’alta quota sarà giocato dalle variazioni climatiche, che causeranno probabilmente un aumento di biodiversità, ma a scapito di specie sensibili caratteristiche di ambienti freddi, che andranno irrimediabilmente perse.

Sandra Fiore

Fonte: Michela Rogora, Istituto Cnr per lo studio degli ecosistemi (Ise-Cnr), tel. 0323/518300 , email m.rogora@ise.cnr.it -

Tematiche