Focus: Alla salute!

L'occhio 'clinico' sui dipinti

La Gioconda
di Sandra Fiore

Personaggi trattati come pazienti per comprendere la diffusione nell'antichità di patologie oggi meglio conosciute. È l'obiettivo dell'icodiagnostica, disciplina che unisce arte e scienza medica. Apparentemente distanti, questi saperi, messi in relazione, possono svelare la salute dei nostri antenati e di personaggi dell'immaginario collettivo: dalla Gioconda di Leonardo alla Fornarina di Raffaello, affette secondo alcuni studi da ipercolesterolemia e tumore alla mammella

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Modelli e personaggi dipinti o scolpiti nell'antichità possono svelare a uno sguardo medico patologie oggi meglio conosciute, di cui l'artista, nell'atto di realizzare la raffigurazione del soggetto, era inconsapevole. Se la paleopatologia ha fatto passi da gigante nello studio delle malattie del passato e delle cause di morte nei resti umani antichi - basti pensare ai faraoni Tutankhamon, di cui è stata accertata la morte per malaria, o Ramses III che morì sgozzato - talvolta suscitano maggior dibattito alcuni risultati dell'iconodiagnostica, come rivela il commento a firma di Giorgio de Rienzo, 'L'inutile ricerca sulle malattie negli occhi della Gioconda' apparso sul Corriere della sera (6 gennaio 2010).

Agostino Carracci, Arrigo peloso

Questa disciplina, introdotta nel 1983 da Anneliese Pontius psichiatra dell'Università di Harvard, è sempre più utilizzata per 'scovare' nelle rappresentazioni grafiche i segni delle patologie e così comprenderne la diffusione in una determinata epoca. L'indagine riguarda anche grandi nomi dell'arte, da Leonardo a Caravaggio, da Raffaello a Michelangelo, i cui capolavori riservano a chi li osserva anche sorprese dal punto di vista 'scientifico'. Tra i casi più emblematici, la Gioconda che presenta sotto l'occhio sinistro uno xantelasma e sulla mano destra un lipoma, elementi che per gli esperti rivelerebbero l'ipercolesterolemia e la ipertrigliceridemia di Monna Lisa, come si legge in 'Arte e medicina: dalla visione alla diagnosi' di Vincenza Ferrara, docente all'Università Sapienza.

Vito Franco, anatomopatologo ordinario dell'Università di Palermo, ha invece potuto constatare che alcune cifre stilistiche delle Madonne del Parmigianino, quali mani dalle dita lunghe e affusolate e il collo eccessivamente slanciato, siano dovute rispettivamente alla aracnodattilia e alla sindrome di Marfan, un disturbo che colpisce ossa, legamenti, occhi e sistema cardiovascolare (www.unipa.it/RICERCA-Su-Rai-3-Vito-Franco-parla-dellIconodiagnostica). Fu invece l'artrosi e non la gotta come si riteneva, la responsabile della mancata scioltezza, in tarda età, della mano sinistra di Michelangelo: in alcuni ritratti, tra i quali quello eseguito da Jacopino del Conte (1535 ca.), sono evidenti le nodosità dovute alla malattia delle ossa. Michelangelo nei suoi carteggi, lamentava tra l'altro i sintomi e il disagio nello scrivere. Lo studio, coordinato dalla casa di Cura di Villa Salaria di Roma, cui hanno partecipato anche l'Università di Firenze e gli atenei australiani di Sidney e Armidale, è stato pubblicato sul 'Journal of the Royal Society of Medicine'. Gli autori della ricerca affermano anche che a salvarlo dalle conseguenze della malattia fu proprio la sua indefessa attività fino alla fine.

Nel Seicento, con l'interesse per lo studio del vero, aumenta l'attenzione per le curiosità scientifiche e naturalistiche destinate a suscitare meraviglia. Da Lavinia Fontana a Diego Velasquez, fino a Giacomo Ceruti, i pittori spesso indugiano su soggetti affetti da nanismo, ipertricosi o altre anomalie. Agostino Carracci, alla corte del cardinale Edoardo Farnese, realizzò 'Arrigo Peloso, Pietro Matto e Amon Nano', conservato al Museo di Capodimonte di Napoli. Lo stesso Caravaggio, nella crocifissione di S. Andrea a Cleveland eseguita nel 1607, introduce una figura femminile affetta dal gozzo tiroideo, all'epoca assai diffuso.

In anni più recenti l'icodiagnostica si è soffermata sulla rappresentazione, nell'opera dei maestri del Rinascimento come la Fornarina di Raffaello, del tumore alla mammella. Raffaella Bianucci, con i colleghi dell'Università di Torino, ha pubblicato su 'The Lancet Oncology' una ricerca su alcune opere: 'La notte' (Galleria Colonna, Roma) di Michele di Rodolfo del Ghirlandaio, trasposizione dell'omonima statua scolpita in marmo da Michelangelo Buonarroti (chiesa di San Lorenzo, Firenze) e 'L'allegoria della fortezza' (Galleria dell'Accademia, Firenze) di Maso di San Friano. Tra i quadri più scandagliati per accertare la manifestazione di tale malattia si annoverano quelli del pittore barocco Peter Paul Rubens, attivo per quasi mezzo secolo. " Sono almeno tre i dipinti in cui egli avrebbe rappresentato un cancro al seno: Le tre Grazie, Orfeo ed Euridice e Diana e le sue ninfe" spiega Gilberto Corbellini, direttore del Dipartimento scienze umane sociali, patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche. "Tra l'altro è a partire dal XVII secolo che i testi di anatomia e medicina cominciano a raffigurare i seni affetti da questa patologia". Più in generale: “Lo sviluppo di una sensibilità clinica sempre più raffinata da parte dei senologi e degli oncologi e il fatto che negli ultimi decenni si sia diffusa la pratica di insegnare le dimensioni umane della pratica medica, ricorrendo anche alle rappresentazioni della malattia e delle cura nella storia dell'arte, hanno fatto sì che lo sguardo clinico si posasse sui seni ritratti da alcuni artisti famosi”, conclude Corbellini. “Tra le prime opere in cui è stata avanzata l'ipotesi che la modella avesse un cancro al seno è la Betsabea con la lettera di Davide di Rembrandt, presso il Museo del Louvre. Tale patologia fu individuata per la prima volta nel dipinto nel 1970 e da allora l'opera divenne l'icona della lotta contro questo tipo di tumore”.

Sandra Fiore

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