Editoriale

Non spettacolarizzare, non dimenticare: il caso Aids

philadelphia
di Marco Ferrazzoli

Un tempo icona del nostro immaginario collettivo, questa sindrome ha ricevuto sempre meno attenzione dalla cronaca e oggi i giovani non ne sanno quasi nulla. Permangono però alcuni pregiudizi errati. Nei giorni in cui se ne parla a Durban, è opportuno ricordarla

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L'Aids non è solo una malattia: a fine '900, opere letterarie, film e cronache l'hanno imposta nel nostro immaginario collettivo. La sindrome da immunodeficienza acquisita ha del resto tutte le caratteristiche per essere iconizzata: la gravità, soprattutto prima che i progressi della medicina consentissero di affrontarla meglio, il fatto che la sieropositività apra la strada ad altre problematiche difficili da fronteggiare, come infezioni e neoplasie, ma soprattutto alcune modalità di diffusione, legate a comportamenti sui quali vige una forte ipoteca etico-culturale.

Oggi invece, rivela un'indagine svolta dalla Swg per conto di Nps Italia Onlus, “gli italiani conoscono poco l'Hiv, hanno difficoltà a dire con esattezza come si trasmette il virus e poco o nulla sanno sulle cure che esistono per contrastare l'infezione”. L'indagine non lascia spazio a equivoci: oltre il 70% degli intervistati ritiene di essere molto o abbastanza informato, eppure solo circa la metà sa cosa sia l'Hiv e un numero poco maggiore (57%), tra i 25-34enni, conosce come si trasmetta il virus, quota che tra gli over 64 cresce al 70% dei casi. Il gap generazionale è confermato da altre risposte: solo il 37% dei ragazzi considera l'Aids curabile, contro il 62% dei più anziani, e molti giovani reputano incosciente una persona che si dichiari Hiv positiva, poiché rischia di essere denigrata o insultata, mentre le persone tra 55 e 64 anni la considerano soprattutto coraggiosa.

Nel 1991 l'Aids preoccupava quasi un italiano su quattro e il diffondersi dell'uso di droga inquietava oltre la metà della popolazione: il primo timore era praticamente scomparso già nel 2007, il secondo nel 2013. Non vogliamo certo rimpiangere la spettacolarizzazione e l'allarmismo come modalità di comunicazione. Anzi, certi pregiudizi sono indotti anche dal modo in cui i mass media trattano i casi eclatanti o quelli che coinvolgono personaggi famosi, tant'è che quasi un over 45 su tre ricorda a livello di comunicazione espressioni quali “peste” o “cancro dei gay”. Ma la minore attenzione della cronaca, alla quale i risultati dell'indagine si legano, non è certo la soluzione contro disinformazione e pregiudizi.

“Preoccupa il livello di scarsa conoscenza che denunciano le fasce giovani di intervistati”, osserva Rosaria Iardino di Nps Italia Onlus, poiché sono quelle che non hanno vissuto il boom mediatico dell'Aids e però “statisticamente rappresentano quelle più a rischio contagio”. “Bisogna prima di tutto intervenire contro lo stigma che ancora riguarda le persone con Hiv additate quali potenziali pericoli sociali”, dice Margherita Errico, presidente di Nps, che ha presentato un esposto al riguardo presso l'Ordine dei giornalisti. Cattiva e scarsa informazione non riguardano certo solo questa malattia. Ma è utile ricordare, proprio nei giorni in cui si svolge la Conferenza internazionale Aids 2016 a Durban (in Africa l'Hiv mantiene livelli di prevalenza e di trasmissione altissimi, con milioni di persone infettate), che grazie all'uso di varie combinazioni di farmaci oggi siamo in grado di arrestare la replicazione virale, fermare la progressione della malattia, diminuire grandemente la trasmissione del virus e ricostituire il sistema immunitario danneggiato, pur mancando ancora un vaccino preventivo unico con rapporti costi-benefici non problematici. Gli studi proseguono e i risultati ci sono, nonostante la complessità del problema e gli ingenti investimenti necessari, poiché la ricerca scientifica e medica fortunatamente non si basa sulle mode.

Anche l'Italia, che in passato si è affermata a livello internazionale per pubblicazioni e risultati scientifici, partecipa con 130 milioni di euro per il triennio 2017-2019 al Global Fund per combattere Aids, malaria e tubercolosi nei Paesi più poveri, incassando tra l'altro il ringraziamento di Bill Gates. E, con ministero degli Affari esteri e Istituto superiore di sanità, concorre allo studio di un vaccino terapeutico.

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