Editoriale

Ricerca vuol dire fiducia

di Marco Ferrazzoli

Chi riveste posizioni di responsabilità deve garantire la trasparenza. Vale anche per la ricerca, che talvolta possiede conoscenze importanti ma non immediatamente 'utili' e che affronta temi spesso oggetto di un acceso dibattito tra sensibilità diverse

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I sociologi usano l'espressione di "democrazia della sfiducia" per indicare l'atteggiamento spesso diffuso tra i cittadini nei confronti dei vertici istituzionali, particolarmente in periodi di crisi economica. Un atteggiamento talvolta comprensibile ma pericoloso, soprattutto perché rischia di stringere ciascuno di noi sugli interessi privati, oscurandoci l'orizzonte dell'unica via di 'uscita' possibile, che passa per il bene comune.  In questo frangente, è indispensabile che chiunque rivesta posizioni di

I sociologi usano l'espressione di "democrazia della sfiducia" per indicare l'atteggiamento spesso diffuso tra i cittadini nei confronti dei vertici istituzionali, particolarmente in periodi di crisi economica. Un atteggiamento talvolta comprensibile ma pericoloso, soprattutto perché rischia di stringere ciascuno di noi sugli interessi privati, oscurandoci l'orizzonte dell'unica via di 'uscita' possibile, che passa per il bene comune.

In questo frangente, è indispensabile che chiunque rivesta posizioni di responsabilità, dunque anche chi opera nel mondo della ricerca, garantisca la massima trasparenza. Molto opportunamente, agli esami di maturità il Miur ha inserito anche una traccia proprio su "Le responsabilità della scienza e della tecnologia".

È una scelta etica che comporta l'assunzione di responsabilità non facili da gestire: per esempio, quando possediamo o acquisiamo conoscenze importanti ma non immediatamente 'utili' in senso applicativo. Pensiamo alle recenti polemiche sorte per la divulgazione di informazioni che dischiudono uno scenario di rischio di nuove scosse di terremoto, cui faceva riferimento già nel numero scorso dell'Almanacco della Scienza il presidente del Cnr, Luigi Nicolais. Purtroppo, ciò che sappiamo in ambito geo-sismologico consente una 'prevedibilità', per così dire, dalla definizione spazio-temporale troppo vaga e ampia per adottare misure di intervento diretto. Non a caso, si avverte che l'unica scelta è la prevenzione, la messa in sicurezza del territorio: costosa, impegnativa e per lunghissimo tempo trascurata in Italia, che oltretutto è, per conformazione naturale, esposta in modo significativo alle calamità naturali.

Come non sarebbe serio spacciare queste conoscenze per 'previsioni' nel significato corrente del termine, così non è però praticabile nemmeno l'ipotesi opposta di oscurarle. Dobbiamo, insomma, accettare la provvisorietà e parzialità che sono condizioni generali della ricerca scientifica, caratterizzata da tempi lunghi, prove ed errori, continue confutazioni, avvicinamento 'asintotico' alla verità.

Un altro importante insegnamento che la ricerca ci fornisce è l'impossibilità di soluzioni assolute: ogni beneficio ha sempre un costo, la panacea non esiste. In questo periodo sono emersi all'attenzione della cronaca numerosi temi, connotati in senso scientifico, al centro di un ampio e acceso dibattito 'politico' e di opinione: l'uso terapeutico della cannabis, la sperimentazione animale, le coltivazioni ogm, l'omeopatia. Su ciascuno si possono fare molte considerazioni 'pro' e 'contro' a seconda dell'aspetto che si prende in considerazione - economico, ecologico, morale, medico... - e il dovere di una comunità dovrebbe essere valutarli insieme ai sensi del già citato 'bene comune', consci che le varie sensibilità possono essere molto diverse.

Persino tra gli stessi ricercatori corrono opinioni profondamente diverse in merito a molti argomenti, ed è una diversità non solo rispettabile ma indispensabile per il progresso stesso della scienza. Chi fa ricerca, per non perdere il credito di fiducia attestato da vari studi rispetto ad altre categorie professionali e leadership, deve perciò porsi agli altri sempre con sincerità e chiarezza. Il rischio, altrimenti, è quello che scemi la già non sufficiente disponibilità dei cittadini - e, di conseguenza, di decisori politici e imprese - a sostenere l'investimento necessario alla ricerca per essere motore di conoscenza e sviluppo.