Saggi: Immateriale

In morte di Piero Angela

Copertina  del libro Dieci cose che ho imparato
di M. F.

“Dieci cose che ho imparato” (Mondadori) è il testamento culturale del divulgatore recentemente scomparso, affettuosamente curato dal figlio Alberto. Il libro considera conoscenza e metodo scientifico quali uniche fonti del progresso materiale e morale dell’umanità, mentre critica severamente la politica e la prevalenza dell’umanesimo del nostro paese. Tesi che ispirano qualche considerazione a margine

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“Dieci cose che ho imparato” (Mondadori) può essere considerato il testamento culturale di Piero Angela. Il libro è infatti uscito postumo, grazie alla cura affettuosa del figlio Alberto, che nell’introduzione confessa di vedere il padre come un riferimento di saggezza inarrivabile, capace di “sapere ogni volta la soluzione giusta per qualsiasi questione”. La stessa certezza il libro attribuisce alla conoscenza e al metodo scientifico, considerati quali unici fari del progresso materiale e morale dell’umanità; specularmente decisa è invece l’accusa di inutilità e arretratezza rivolta contro la politica. Si tratta di considerazioni che il celeberrimo divulgatore ha espresso in diverse riflessioni. In sostanza, secondo Angela, la nostra pur ricca e preziosa tradizione umanistica “non può più illuminare e guidare il nostro tempo se non si integra con una nuova visione della realtà”. E il nostro Paese soffre per la prevalenza dell’umanesimo su una mentalità e una conoscenza che permettano di far comprendere almeno alcuni concetti scientifici di base, problematica che nel 1959 Charles P. Snow aveva definito “le due culture”.

Il saggio evidenzia poi lo straordinario progresso compiuto dall’Italia rispetto al 1861, quando era afflitta da una povertà generalizzata, da un minore rispetto dei diritti civili, la vita media raggiungeva i 33 anni contro gli oltre 80 attuali e gli addetti all’agricoltura erano il 67% contro il 3,6% odierno, mentre quelli ai servizi rappresentavano il 15,1% contro l’attuale 73%. Siamo stati insomma compartecipi del miglioramento che gran parte del mondo ha conosciuto dai tempi di Luigi XIV “Re Sole”, al quale morirono in età infantile ben 12 figli su 18. Un cambiamento straordinario e accelerato: Piero Angela ricorda che il padre nacque quando Garibaldi era ancora in vita e fece in tempo, a 70 anni, a vedere l’esplosione della bomba atomica.  

Negli ultimi 25 anni, ammonisce “Dieci cose che ho imparato”, la produttività è però cresciuta pochissimo in Italia, la Banca mondiale ci bacchetta per la nostra difficoltà di “fare impresa” e anche la forza lavoro non è “adatta a un paese moderno”, tant’è che la disoccupazione fra i laureati di 25-39 anni è dell’8-13%, contro il 2-4% della Germania. Tra i motivi di questa bassa crescita, Angela evidenzia di nuovo “l’eccesso di lauree in discipline artistiche, umanistiche e in scienze sociali, che sono il doppio in Italia rispetto alla Germania”, un’istruzione che nei test Ocse non ci vede piazzati bene e “il basso investimento in ricerca e sviluppo”, dove siamo “fanalino di coda”, spendendo l’1,3% del Pil contro una media dell’Unione del 2%.

E così - accusa il libro - arranchiamo, mentre sfrecciano veloci i Paesi avanzati “già più preparati a entrare nell’era moderna” e i Paesi asiatici innovativi “che nel dopoguerra appartenevano ancora al cosiddetto Terzo Mondo”. Si torna così alla “brevimiranza” delle nostre leadership e alla crisi per cui “nel silenzio quasi generale la qualità dell’apprendimento è precipitata”. Il libro indica l’esempio di “molti famosi innovatori dei nostri tempi” come Jeff Bezos, Sergey Brin e Larry Page, Jimmy Wales, Will Wright, Peter Drucker, che hanno “frequentato da bambini le scuole Montessori. Solo una coincidenza?”. Quello “limite” dei giovani Kennedy, ai quali la madre “sembra […] leggesse e commentasse gli articoli di fondo del New York Times e del Washington Post […] forse non è proprio così ma certamente quei tre giovani” hanno studiato “da presidente”. L’“impegno educativo” che ha portato “alla formazione di un gran numero di ingegneri e di scienziati” in Asia, dove però “la pressione sociale sui giovani cinesi è altissima” e la “selezione implacabile”, mentre in Giappone vigono “regole quasi militaresche”. Anche gli istituti di eccellenza degli Stati Uniti sono “non soltanto molto selettivi ma anche molto cari”, per quanto calmierati da un sistema di borse studio e prestiti.

La soluzione proposta da Angela è seguire una filiera precisa: “spendere in ricerca, innovazione, produttività è il miglior investimento, quello che rende maggiormente in prospettiva”. Solo la scienza fornisce “conoscenza” reale “che sta cominciando oggi a rispondere davvero alle domande che i filosofi si sono posti da secoli”. E - grazie al metodo galileiano, alla sperimentazione e alle revisioni in cieco - “permette di separare il probabile dall’improbabile, il credibile dalla leggenda, il vero dal falso”. Errori o truffe sono perciò remoti e “prima o poi vengono scoperti”. La tecnologia, invece, “inventa”. E ha reso possibile lo sviluppo grazie all’estrazione e all’utilizzo delle fonti energetiche, che non vanno quindi considerate “ricchezze naturali”, poiché nell’antichità non sono mai state usate in tal senso, e che assieme alle macchine hanno “permesso alle società avanzate di realizzare finalmente dei sistemi democratici” e “migliorato di 1.500 volte la produttività del singolo lavoratore”, oggi ancora in aumento “con l’introduzione di nuova intelligenza o meglio dell’intelligenza artificiale”. Ma “di tutto questo si parla molto poco nei dibattiti politici […] La politica (intesa come le élite al potere e l’insieme delle loro decisioni) in realtà non produce ricchezza ma distribuisce quella poca o molta che un paese riesce a creare”.

Il libro stimola molte considerazioni, prima di tutto rispetto a questo sillogismo causale tra conoscenza, scienza, tecnologia, innovazione, formazione e benessere, sviluppo, progresso. La spesa in ricerca e innovazione porta senz’altro un giusto ritorno, anche in termini di Pil, laddove però convergano altre condizioni, in primis un mercato interno e/o esterno che accolga prodotti e servizi; oltre una certa soglia di benessere, lo hanno verificato molte economie, il sistema tende poi a rallentare. Le società avanzate, peraltro, sanno bene che i livelli di soddisfazione sociale e individuale non sono automaticamente correlati alla crescita materiale. Che l’istruzione vada finalizzata alla collocazione professionale più prestigiosa e meglio retribuita, inoltre, è idea molto discussa da chi ne sostiene invece lo scopo più generale di formazione culturale e umana. Le stesse leadership vincenti, ieri come oggi, provengono da percorsi diversi, spesso proprio da quelli umanistici.

La recente pandemia ha reso infine evidenti alcune questioni. Il modello epistemologico appare bisognoso di revisione: truffe ed errori non sono scoperti sempre così velocemente e, soprattutto, emergono distorsioni sia negli avanzamenti di conoscenza, dove la produttività “publish or perish” denuncia i propri limiti, sia nella loro comunicazione, dove la scienza deve imparare a proporsi più per dubbi che per certezze. Infine, che le classi politiche sembrino limitarsi a gestire o sfruttare il potere loro affidato, senza fornire ai cittadini un reale valore aggiunto, è purtroppo un’impressione talvolta fondata. Ma occorre cautela per evitare il qualunquismo, poiché non abbiamo alcuna prova che tecnocrazie e sedicenti regimi della conoscenza assicurino risultati migliori, rispetto alle pur perfettibili democrazie liberal-parlamentari, nel rappresentare la complessità contemporanea.  

Titolo: ​​Piero Angela. Dieci cose che ho imparato
Categoria: Ragazzi
Autore: Alberto Angela
Editore: Mondadori
Pagine: 155
Prezzo: 19,00

 

   

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