Focus: Proverbi

L'appetito vien mangiando

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di Silvia Mattoni

Secondo Roberto Volpe del Servizio prevenzione e protezione del Cnr, il celebre proverbio ha una sua veridicità. Ma l'attrattiva esercitata dai cibi può indurre dipendenze simili a quelle delle droghe

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Se a Totò avessero detto che l'appetito viene mangiando, avrebbe sicuramente risposto: "Ma mi faccia il piacere, l'appetito viene a star digiuni!". Sembra invece che il celebre proverbio abbia una sua veridicità e non solo empirica. Quanti di noi mettendosi a tavola senza troppo appetito iniziano a mangiare di fronte a una serie di invitanti pietanze? "Questo avviene", spiega Roberto Volpe del Servizio prevenzione e protezione (Spp) del Cnr di Roma, "per una serie di fattori: il sapore del cibo, il suo profumo, il modo con cui viene presentato e il suo colore, perché anche l'occhio vuole la sua parte. Non vanno trascurati, inoltre, l'ambiente, ovvero l'ospitalità della casa, e la compagnia, quando questa risulti piacevole e simpatica".

Un processo analogo si verifica anche per gli snack: da quelli salati utilizzati negli aperitivi, come patatine fritte, pop-corn, salatini e frutta secca (pistacchi, mandorle, arachidi) a quelli dolci che accompagnano le merende a base di bevande calde. Ciò è spiegabile scientificamente. "Nel nostro cervello, quando mangiamo alimenti salati o dolci (entrambi spesso ricchi in grassi e calorie), si ha un aumento dei cosiddetti endocannabinoidi, molecole così chiamate in quanto sono prodotte dal nostro corpo e presentano un effetto simile a quello dei cannabinoidi della marijuana", continua il ricercatore dell'Spp-Cnr. "Gli endocannabinoidi interagiscono con l'ipotalamo, l'area del cervello in cui vengono controllati fame e sazietà, con il duplice risultato di inibire il senso di sazietà e, nel contempo, stimolare l'appetito e il cosiddetto senso di fame 'chimico'. Il risultato è un aumento del desiderio proprio verso questi cibi che, procurando gratificazione, inducono a ripetere l'esperienza, sia nell'immediato sia nel tempo".

In altri termini, s'innesca una sorta di 'dipendenza' alla base di un circolo vizioso. "E se nell'immediato il danno è potenziale (dipende dalle quantità assunte) e relativo (con i classici disturbi gastrointestinali legati a una cattiva digestione, come mal di stomaco, sensazione di gonfiore, dolori addominali), protrarre un tale comportamento nel tempo può portare a un progressivo sovrappeso o addirittura all'obesità e alle patologie a essa correlate: diabete, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, ipertensione".

Conclude Volpe: "Se si considera che questi cibi 'gratificanti' sono spesso oggetto di una pubblicità accattivante (e non sempre corretta), che ha come bersaglio soprattutto i ragazzi, ben si comprende la preoccupazione per la loro salute. Del resto, i dati epidemiologici sottolineano quanto sia reale questo pericolo: il 30% dei nostri figli è in sovrappeso e il 10% è obeso".

In definitiva il problema è soprattutto nel ripetere l'errore. Quindi, con Seneca, potremmo concludere che "Semel in anno licet insanire", e goderci in maniera spensierata, ogni tanto, un bel momento conviviale.

Silvia Mattoni

Fonte: Roberto Volpe, Servizio prevenzione e protezione del Cnr, tel. 06/49937630 , email roberto.volpe@cnr.it -

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