Vita Cnr

Fabry, serve una diagnosi precoce

Immagine malattia di Anderson-Fabry
di Silvia Mattoni

Oggi l'unica terapia in grado di contrastare la progressione della patologia è quella enzimatica sostitutiva. Ma un ritardo può comprometterne l'efficacia. A studiare le strategie per individuarla tempestivamente, l'Ibim-Cnr di Palermo con il gruppo Sanofi/Genzyme

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Può manifestarsi in forme diverse sia per la gravità sia per gli organi che colpisce, provocando, in alcuni casi, danni renali e cardiaci, con possibili rischi di ictus o di infarto. I sintomi più frequenti: acroparestesie (dolori lancinanti a mani e piedi) e angiocheratoma (alterazioni vasali con rilievi cornei che si diffondono nella cute).

È la malattia di Anderson-Fabry (Fd), una rara patologia genetica che insorge durante l'infanzia, ma anche in età adulta, e che viene spesso sotto-diagnosticata. A studiarla, da tempo, i ricercatori dell'Istituto di biomedicina e immunologia molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo che hanno siglato un accordo con Genzyme, un'azienda del gruppo Sanofi, per uno lo studio che mira a identificare, mediante analisi genetiche ed enzimatiche, gli individui affetti dalla malattia che ancora non sono stati diagnosticati, per la non-specificità di alcune manifestazioni cliniche o per diagnosi errate.

"L'incidenza riportata in letteratura è di 1 ogni 40.000 individui, ma questo dato sembra essere sottostimato", afferma Giovanni Duro dell'Ibim-Cnr. "Iniziative di screening neonatale degli ultimi anni hanno infatti riscontrato un'incidenza alta della malattia, fino a 1 ogni 3.100 neonati in Italia, con un sorprendente aumento della frequenza nei neonati maschi in Taiwan (circa 1 ogni 1.500)". Questo perché nelle stime più recenti sono stati inclusi pazienti con fenotipo clinico lieve o a esordio tardivo e con interessamento generalmente limitato a un solo organo o apparato, come nelle varianti renali, cardiache e cerebrovascolari. Per i soggetti Fabry, la diagnosi clinica arriva spesso diversi anni dopo rispetto alle prime manifestazioni.

"Studi retrospettivi hanno rilevato un ritardo considerevole nella diagnosi della malattia di Fabry in circa il 40% dei pazienti maschi e nel 70% delle femmine sia per il quadro clinico multi sistemico, sia per l'età di esordio particolarmente variabile, sia per la diversa severità di progressione", aggiunge il ricercatore. "Dall'insorgenza dei primi sintomi alla corretta diagnosi passano mediamente 13 anni per gli uomini e 17 per le donne. Un nostro studio ha dimostrato che una significativa percentuale di individui a cui è stata diagnosticata la Febbre mediterranea familiare in realtà erano affetti da malattia di Fabry".

Il ritardo nella diagnosi compromette l'efficacia della terapia enzimatica sostitutiva, oggi l'unica disponibile, in quanto il carattere progressivo di questa patologia porta a un danno d'organo irreversibile. "Una sospetta diagnosi della malattia di Fabry deve essere dedotta dal quadro clinico individuale del paziente ed essere inclusa fra le ipotesi diagnostiche in tutti i casi in cui i soggetti presentino decorsi clinici 'sistemici'", conclude Duro. "Quando viene identificato un paziente con la malattia è inoltre indispensabile estendere lo studio ai familiari, in modo da individuare altri soggetti affetti che potrebbero non aver ancora manifestato sintomi chiari della malattia".

Fonte: Giovanni Duro, Istituto di biomedicina e di immunologia molecolare "Alberto Monroy", Palermo, tel. 091/6809507/179

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