Editoriale

Non importa l'“usa”, bensì il “getta"

Oggetti smarriti, sì, ma anche ritrovati
di Marco Ferrazzoli

Abbiamo voluto intitolare il Focus di questo Almanacco agli oggetti e usi smarriti e ritrovati, per sminuire l'idea che la nostra vita si sia dematerializzata in modo irreversibile. Dalla stampa ai mezzi di trasporto, dal denaro al libro, l'evoluzione digitale è meno assoluta di quanto appaia. E forse è proprio il rifiuto, lo scarto, l'oggetto che non si usa, il vero protagonista di quest'epoca. Guardiamoci appena indietro e troviamo cose scomparse come fax, telefoni, fazzoletti di stoffa… Non è difficile prevedere analoga sorte per must odierni come le stampanti, le caldaie, i televisori e gli stessi cellulari, anch'essi condannati dall'obsolescenza programmata a vite sempre più brevi ed effimere. Salvo non tornare di moda e di mercato per qualche trovata di marketing nostalgico, com'è accaduto a vinili, video e audio cassette, arredamento vintage, polaroid, alla tv riempita di sequel e repliche

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 l'idea che il digitale abbia dematerializzato, oltre che disintermediato, la nostra società e la nostra vita in modo irreversibile. In realtà i processi non sono mai così lineari.

Oggetti smarriti, sì, ma anche ritrovati. La rapida obsolescenza che sembra connaturata al consumismo porta infatti spesso, il che non è affatto una contraddizione, a recuperare in qualche modo, culturale o commerciale, anche ciò che a un certo punto abbiamo smesso di usare. Abbiamo voluto raccontare questo curioso processo nel Focus monografico di questo Almanacco della Scienza, come sempre con l'aiuto dei nostri ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche, anche se stavolta abbiamo dovuto – per ragioni di spazio – limitare moltissimo gli esempi rispetto agli infiniti che si potrebbero fare.

Ci è parso un percorso interessante da seguire anche per sminuire, se non proprio per smentire, l'idea che il digitale abbia dematerializzato, oltre che disintermediato, la nostra società e la nostra vita in modo irreversibile. In realtà i processi non sono mai così lineari. Prendete per esempio lo stesso magazine dell'Ufficio stampa Cnr che state leggendo e che, come moltissima parte del paniere di letture contemporaneo, viaggia su web: il riconoscimento che però attribuiamo con l'Almanacco alla carta stampata è però notevolissimo: ne parliamo nelle recensioni, per esempio, e abbiamo dedicato il numero scorso proprio ai libri, oltre che alla lettura, un tema che dimostra come i diversi tipi di supporti, dispositivi e servizi, materiali e immateriali, finiscano per incrociarsi tra loro molto più che non per sostituirsi in modo seriale e irreversibile. Per non parlare delle vie intermedie, multimediali, dove la distinzione tra parola, immagine e suono sfuma verso una sinestesia percettiva che sembra essere il destino dei millenials e forse persino quello di noi nativi gutemberghiani e marconiani.

Pensiamo anche ai mezzi di trasporto. Le biciclette sono vivissime e vegete, anzi conoscono un nuovo successo per ragioni “green”, ma anche le “vecchie” automobili resistono ad una crisi fortissima, grazie a continue iniezioni di innovazione: sia per quanto riguarda la parte elettronica e i sistemi di aiuto, sia per quanto riguarda i sistemi di alimentazione ed emissione, sempre meno impattanti (va detto però che le posizioni, al riguardo, sono diverse e talvolta discordi). Sembra scomparire in senso materiale anche il denaro, a vantaggio delle carte elettroniche, delle transazioni on line e delle criptovalute (queste ultime ancora oggetto di attenta osservazione e forti sospetti). In effetti, in certi paesi stranieri ormai anche per un caffè o un biglietto di metropolitana siamo “costretti” a strisciare una tessera magnetica. Ma almeno in Italia, carta e monetine girano ancora parecchio.

E poi ci sono l'e-commerce, lo sharing, il download: la filosofia del nuovo millennio sembra essere usare, più che possedere. È ancora presto, però, per capire quanto certi mercati arrembanti riusciranno ad affermarsi in modo stabile. L'evoluzione digitale è forse meno categorica e irreversibile di quanto appaia. E, comunque, anche l'informatica e la telematica su cui si basa gran parte della nostra vita e della nostra comunicazione hanno un aspetto materiale e concreto, a partire dalle immense quantità di dati che produciamo e scambiamo, e che rischia di scomparire se non vengono conservati, archiviati, aggiornati.

Sempre restando in ambito di tecnologia e new media, andando indietro di poco con la memoria, ritroviamo tante cose scomparse, fantasmi, simulacri: fax, telefoni… Non è difficile prevedere che analoga sorte o morte, nel dimenticatoio o nella discarica, trovino in futuro altri must e cult oggi insostituibili come le stampanti, le caldaie e i televisori. O addirittura gli stessi cellulari, l'oggetto protagonista di una delle più repentine e pervasive rivoluzioni della storia ma, anch'essi, condannati dall'obsolescenza programmata a vite sempre più brevi ed effimere. Come accennavamo, spesso questi oggetti riescono a tornare di moda per qualche trovata di marketing o semplicemente per pulsione irrefrenabile della nostalgia, ma tanti altri diventano semplici e pericolosissimi Raee, rifiuti elettronici.

Questa è la riflessione urgente che dobbiamo fare. L'era digitale, virtuale e immateriale, paradossalmente, conosce come nessun'altra prima il problema della materialità in forma di immondizia, rifiuto, scarto. L'oggetto che non serve, che non si usa, è uno dei maggiori problemi ambientali del nostro Pianeta ed è forse protagonista di quest'epoca molto più di quello utilizzato. Viene il dubbio che le fasi fondamentali della filiera economica e industriale non siano più la produzione e il consumo, ma l'appendice finale: che nel consumismo post-moderno non importi l'“usa”, bensì il “getta“.