Editoriale

La 'Parola di scienziato' ridotta a opinione

Che in Italia ci sia scarsa coscienza del valore e dell'utilità della ricerca e dell'innovazione lo lamentiamo spesso e lo si avverte da diversi dati: pochi laureati, scarse immatricolazioni alle facoltà scientifiche, ridotto numero di ricercatori e insufficiente avanzamento tecnologico delle imprese. Una problematica che mina sensibilmente il nostro sviluppo socio-economico e il nostro progresso culturale e a cui la comunicazione potrebbe dare un significativo contributo, anche se, ovviamente, non è né vel
di Marco Ferrazzoli

Nel trasferimento della conoscenza dalle fonti scientifiche e accademiche al pubblico generalista la corruzione del messaggio sembra quasi inevitabile. Tale processo concorre a formare quella scarsa coscienza del valore e dell'utilità della ricerca e dell'innovazione che tanto lamentiamo e che si riflette, a livello italiano, nei pochi laureati e nelle scarse immatricolazioni alle facoltà scientifiche, nel ridotto numero di ricercatori, nell'insufficiente avanzamento tecnologico delle imprese

Pubblicato il
Certo, le differenze di approccio e obiettivi tra un operatore dei mass media e un ricercatore, specialmente nell'ambito delle scienze naturali e dure, sono sostanziali: il primo è abituato alla condivisione con i 'pari', a un linguaggio tecnico, sobrio, sostanziale, mentre i secondi si rivolgono a un pubblico generico e tendono a usare il linguaggio comune, semplificando e 'strillando' la notizia. Ma il problema principale non riguarda tanto il contenuto del messaggio scientifico, la cui complessità può es

Che in Italia ci sia scarsa coscienza del valore e dell'utilità della ricerca e dell'innovazione lo lamentiamo spesso e lo si avverte da diversi dati: pochi laureati, scarse immatricolazioni alle facoltà scientifiche, ridotto numero di ricercatori e insufficiente avanzamento tecnologico delle imprese. Una problematica che mina sensibilmente il nostro sviluppo socio-economico e il nostro progresso culturale e a cui la comunicazione potrebbe dare un significativo contributo, anche se, ovviamente, non è né veloce né facile giungere a una soluzione. Nel trasferimento della conoscenza dalle fonti scientifiche e accademiche al pubblico generalista, infatti, la corruzione del messaggio sembra quasi inevitabile per responsabilità sia delle stesse fonti, talvolta poco propense alla comunicazione, sia del pubblico, spesso privo dell'alfabetizzazione necessaria, sia dei mediatori che tendono a deformare o banalizzare. Di quanto stiamo dicendo abbiamo purtroppo esempi numerosi e alcuni di questi li abbiamo voluti esporre, con l'aiuto dei ricercatori del Cnr, in questo numero dell'Almanacco della Scienza: il processo per il terremoto dell'Aquila, la sperimentazione animale, il cosiddetto metodo Stamina, il Global Warming, gli Ogm, la Xylella fastidiosa.

Certo, le differenze di approccio e obiettivi tra un operatore dei mass media e un ricercatore, specialmente nell'ambito delle scienze naturali e dure, sono sostanziali: il primo è abituato alla condivisione con i 'pari', a un linguaggio tecnico, sobrio, sostanziale, mentre i secondi si rivolgono a un pubblico generico e tendono a usare il linguaggio comune, semplificando e 'strillando' la notizia. Ma il problema principale non riguarda tanto il contenuto del messaggio scientifico, la cui complessità può essere sciolta mediante un efficace lavoro di divulgazione, quanto la sua forma: il 'racconto' della ricerca incontra infatti maggior ascolto se riesce ad attivare stimoli culturali, animare pulsioni etiche, suscitare l'interesse diretto del destinatario. Funziona se si connota come 'bello', oltre che 'vero'. Dev'essere trasmesso con una storia emotivamente impattante e non ridursi a un rigoroso ma arido report. Viviamo nell'epoca dello storytelling, non dimentichiamolo.

Un'impresa non banale, lo ripetiamo, ancor più data la quantità e varietà confusionaria di messaggi che ci giungono di continuo. Lo spettro multimediale alterna l'ingorgo notiziale al silenzio disinteressato, troppo di frequente la verifica e l'articolazione del ragionamento cedono allo strillo semplificatorio, si è ormai affermata un'orizzontalità critica per la quale tutti gli attori si sentono legittimati e titolati a esprimere la propria opinione su qualunque argomento e la conoscenza non è più un valore intangibile: la parola di chi detiene le competenze tende a sfumare in un parere tra i tanti. Il rischio di scatenare presunti scoop o sedimentare luoghi comuni, indurre allarmismi o illusori automatismi applicativi è sempre presente (chi volesse sviscerare un catalogo di cattive pratiche di divulgazione può attingere alla collettanea che chi scrive ha curato con la sociolinguista di Tor Vergata Francesca Dragotto: 'Parola di scienziato. La conoscenza ridotta a opinione', edita da Universitalia).

Ma nel comunicare la scienza l'efficacia è importante quanto la sua correttezza ed entrambe vanno perseguite senza escludere alcuno strumento utile, dalle immagini (pensiamo all'inscindibile legame tra il Dna e la figura della doppia elica) alla tecnica narrativa, dalla fiction all'uso degli archetipi mitologici. E non ci sono discipline che non si prestino alla divulgazione, neppure quelle a cui si attribuisce non a caso la definizione di 'dure', per quanto alcune branche come l'astrofisica o l'etologia siano più capaci di colpire il nostro immaginario. La battaglia contro il sensazionalismo mediatico, le diatribe ideologiche, le imprecisioni di linguaggio non si vincono quindi eludendo la comunicazione bensì cavalcandola, come dimostrano tanti successi mediatici di settori di ricerca che ottengono una rilevante attenzione. Navigare nel villaggio globale necesse.